Tutti pazzi per le sneakers: già prima della pandemia erano un capo di tendenza, ma adesso sono senza dubbio le scarpe più utilizzate da tutti, uomini, donne e bambini e in qualsiasi occasione. Non è una buona notizia, perché sia nella fase di produzione che alla fine della loro vita hanno un impatto notevole. Ma ci sono anche realtà che stanno lavorando in una direzione diversa, e questa è una buona notizia: ACBC è un’azienda italiana che di recente è anche diventata B-CORP. Una bella storia imprenditoriale di cui ho parlato con il CEO Gio Giacobbe nell’intervista.
L’invasione delle sneakers
Ogni anno vengono prodotti più di 23 miliardi di paia di sneakers ma dietro la grande domanda di calzature c’è un settore che ha un impatto fortissimo, sia ambientale che sociale. Per la produzione della stragrande maggioranza delle scarpe si utilizzano plastica vergine, gomma e petrolio, producendo quantità allarmanti di anidride carbonica. Ogni anno circa 300 milioni di paia di scarpe vengono buttate ogni anno e, in media, ci vogliono 30-40 anni perché un paio si decomponga completamente in una discarica.
Di sneakers ho già parlato anche in un articolo del magazine, “Perché le sneakers sono insostenibili e quali sono i brand che stanno lavorando per ridurre il loro impatto: qui trovate anche alcuni rapporti che ho consultato per cercare di farmi un quadro della situazione.
La produzione di sneakers ha inoltre un grosso impatto nelle emissioni di CO2: l’1,4% delle emissioni globali di gas serra proviene da qui, il che è significativo dato che i viaggi aerei sono responsabili del 2,5% di tutte le emissioni. Uno studio condotto dal MIT ha rilevato che un tipico paio di scarpe da corsa genera circa 13,6 chilogrammi di emissioni di CO2. La maggior parte delle scarpe da ginnastica sono fabbricate prevalentemente in plastica o materiali simili alla plastica.
Dalla produzione allo smaltimento, la storia delle sneakers è complicata in ogni fase. Sia ben chiaro, anche se abbiamo la sensazione che tutta l’industria delle sneakers sia diventata “buona” perché il web è pieno di storie di scarpe dal basso impatto, la verità è che si tratta di capsule, di piccole quantità di prodotti, una goccia nel mare rispetto ai 23 miliardi di paia di sneakers prodotti all’anno.
L’automazione, la produzione del futuro
Dall’inizio alla fine, possono essere necessari 60 giorni per realizzare una scarpa utilizzando un processo convenzionale di produzione. I lavoratori eseguono ancora a mano gran parte dei processi di cucitura, incollaggio e altre fasi ad alta intensità di lavoro manuale. Una volta che la scarpa è pronta, ci vogliono altri 60 giorni per spedirla dall’Asia, dove viene prodotta la maggior parte delle scarpe da ginnastica, ai negozi dell’Europa occidentale o degli Stati Uniti. Lo ha raccontato Adidas lanciando il progetto Speedfactory.
Il progetto Speedfactory si basa un concetto pionieristico che concentra il processo di produzione delle sneaker in un unico spazio e nel mercato in cui vengono vendute le scarpe. Alla Speedfactory di Adidas ad Ansbach, in Germania, i robot fanno la maggior parte del lavoro. Rispetto ai mesi che possono essere necessari per realizzare una sneaker nella filiera tradizionale, Speedfactory completa la produzione in pochi giorni.
Anche Nike sta lavorando a soluzioni che vanno nella stessa direzione. Secondo le stime Nike e Adidas potrebbero produrre quasi il 20% delle loro scarpe da ginnastica in fabbriche “più automatizzate” entro il 2023.
Tra l’altro per la prima volta nella sua storia, proprio qualche giorno fa, Adidas ha reso disponibile la lista completa dei suoi 800 fornitori in 55 Paesi del mondo. Non ho avuto il tempo di analizzarla per capire fino a che punto di approfondimento arriva: ci sono anche i produttori delle materie prime? Sono indicati solo i vendo o anche le fabbriche vere e proprio dove vengono eseguite le fasi di lavorazione?
Nike punta sulle scarpe ricondizionate
Il nuovo programma Nike Refurbished è stata lanciata negli Stati Uniti – per ora in 15 negozi. Nike ha deciso di gestire questo progetto direttamente: non si tratta però di reselling di scarpe ma più genericamente di modelli che è possibile riportare a nuova vita con qualche intervento di sistemazione. Ecco come funziona il meccanismo: se entro 60 giorni un consumatore restituisce un paio di scarpe al negozio, queste potranno essere rimesse in vendita nella Nike Refurbished lineup. Le tipologie vanno dalle sneakers praticamente nuove, a quelle usate ma in buono stato e ancora a quelle magari con difetti di produzione che vengono corretti successivamente.
E cosa facciamo con le sneakers usate?
Brand indipendenti e brand del lusso e dello sportwear stanno lavorando intorno al tema della scarpa circolare. Innanzitutto perché lo smaltimento delle scarpe è un tema scottante. E’ difficile trovare dei dati attendibili che riguardino solo le scarpe usate, perché nelle statistiche abbigliamento e scarpe confluiscono in un’unica voce. Ma ho ricostruito un po’ il percorso delle scarpe usate, anche aiutandomi con il libro libro di Tansy E. Hoskins “Foot Work – What Your Shoes Are Doing To The World” che vi avevo già consigliato.
Quando non usiamo più le nostre scarpe, nella maggioranza dei casi le doniamo ad associazioni benefiche, insieme ai vestiti usati. Ci sono aziende specializzate che fanno la selezione di questi sacchi e le scarpe vengono suddivise per categoria e qualità e preparate per l’invio al mercato del second hand. A seconda della qualità, possono essere destinate nei paesi dell’est oppure in Africa. Europa e stati Uniti hanno un mercato del second hand per gli abiti, ma non ce l’hanno per le scarpe, perché c’è anche un approccio culturale diverso al tema, c’è più resistenza ad indossare una scarpa usata. Queste scarpe usate che vengono raccolte, sono quindi destinate a mercati più poveri, dove possono essere vendute per terminare la propria vita. Alla fine saranno sempre rifiuti, però, che vengono quindi esportati in Paesi poveri. C’è un mercato per queste scarpe usate? si, in Germania ci sono dei distretti che lavorano sulle scarpe usate e dove si stanno anche sperimentando delle tipologie di riciclo, soprattutto meccaniche. Volete delle quotazioni? la Bavaria Textile vende scarpe mix di prima classe a 2,45 euro al chilo. Il prezzo sale a 8 euro al chilo se si tratta di scarpe mai indossate che rientrano dai negozi. E già, anche il mercato delle scarpe ha i suoi problemi con gli stock invenduti.
Protagonista dell’intervista la bella storia di ACBC
Ed eccoci al momento dell’intervista. ACBC è l’acronimo di Anything Can Be Change: quando questa start up ha preso forma aveva come finalità quella di dare forma a un nuovo concetto di scarpa, ma quando hanno lanciato sul mercato la loro Zip Shoes non si aspettavano certo di riscuotere il successo che hanno avuto e così velocemente. Una bella storia italiana, che il CEO Gio Giacobbe racconta nell’intervista. Le loro sneakers sono animal free, bio based e realizzate con materiale riciclato, e vengono prodotte da una Catena di fornitura controllata. E’ più facile nascere sostenibili che diventarlo, questo lo abbiamo detto tante volte. Ma non è facile muoversi in un campo dove il cambiamento è all’ordine del giorno. Le sneakers di oggi non saranno quelle di domani. Per fortuna. Esperienze come ACBC ci aiutano a dare uno sguardo al futuro.