Ci accompagna nella vita quotidiana, ma non sempre pensiamo all’impatto che la nostra biancheria intima ha sull’ambiente. Eppure ne ha, eccome. Il settore sta affrontando nuove sfide, sperimentando nuovi materiali, ma sta affrontando anche il tema dell’inclusione. La filiera italiana dell’intimo è anche un capitale prezioso, che stiamo rischiando di perdere. Ne parlo nell’intervista di questo episodio con Federica Tersch Annovazzi, titolare di Iluna, azienda leader nella produzione di pizzo riciclato.
Intimo per tutte le taglie
L’intimo è un tema da maneggiare con cura, per tanti motivi: innanzitutto proietta l’immagine di una donna che rischia di essere troppo sexy, quasi come se fosse solo un oggetto di piacere. Ci sono anni di campagne pubblicitarie che andavano in questa direzione. Ricordate Victoria Secrets e I suoi angeli in passerella? Il tonfo di questo brand è stato colossale. E proprio sull’immagine della donna si basa l’altro delicato tema che non possiamo fare a meno di affrontare quando si parla di intimo: l’inclusività.
L’underwear ha iniziato per primo ad affrontare questi temi e sono nati diversi nuovi brand che fanno di una vasta scelta di taglie e di modelli il loro punto di forza. Basta presentare sempre immagini di donne perfette che non sembrano nemmeno vere: le donne stanno rivendicando il loro diritto di essere come sono e di non dover più adeguare le proprie forme ai capi di abbigliamento. Sono invece i capi di abbigliamento a doversi adeguare. Il tema dell’inclusione ha travolto questo settore, che adesso sta facendo anche i conti con la sfida della sostenibilità.
La sostenibilità, un traguardo difficile da raggiungere
Per qualcuno l’intimo è il punto dolente di un approccio alla moda sostenibile. Innanzitutto si tratta di prodotti praticamente destinati ad un unico proprietario: nessuno utilizza slip o reggiseni di seconda mano. Ma nemmeno calze o calzini. Forse per la biancheria da notte ci sono maggiori possibilità, ma sono sempre rari casi.
La scelta della sostenibilità è fondamentale per l’intimo, ma non è così semplice da attuare. Innanzitutto i reggiseni, ad esempio, sono capi complessi, che si compongono di tanti elementi, fatti di materiali diversi. Quindi, per ragionare in ottica di riciclo, è necessario immaginare modelli che siano facili da disassemblare. In questa direzione vanno però anche le nuove tendenze: ci sono tanti marchi che producono intimo fatto in monomateriale, senza cuciture e elementi come gancetti o simili. Praticamente reggiseni nati per lo sport che adesso vengono indossati nella vita di tutti i giorni: le donne vogliono stare comode, sono finiti i tempi di corsetti e corpetti.
Ma ci sono anche quelle alle quali pizzi, tulle e nastri piacciono molto, donne che vogliono coccolarsi indossando qualcosa che le fa sentire preziose: ecco per questa tipologia di consumatrici la soluzione non è semplice. Creare lingerie senza un impatto negativo sull’ambiente è una vera sfida a causa del materiale elasticizzato, un elemento chiave per garantire il supporto e il fit giusti. Ed è questo il motivo per cui la stragrande maggioranza della biancheria intima attualmente in commercio contiene una certa percentuale di elastam, o Spandex, un materiale difficile da riciclare e tipicamente non biodegradabile. Per le viscose, meglio utiilizzare materiali come Tencel e Lyocell.
Sembra incredibile, ma la sfida dei materiali è davvero durissima quando si parla di intimo. Il marchio inglese Alexander Clementine utilizza Tencel e Seacell per la creazione dei loro tessuti: il Seacell è una fibra che viene realizzata utilizzando le alghe del mare.
Il riciclato nelle etichette di intimo
C’è anche il problema del poliestere e del nylon, essenziali per la realizzazioni di pizzi e tulle. Tra i primi brand che hanno inserito i materiali riciclati nelle proprie collezioni c’è il danese Underprotection che utilizza anche elastam riciclato per le proprie creazioni, oltre a una vasta serie di materiali diversi. Nelle ultime settimane la parola riciclato è comparsa sulla collezioni di intimo di diversi brand, ma è necessario chiedersi quanto la sia percentuale di riciclato presente nel capo: a volte può essere solo del 15%, quel tanto che basta per scriverlo in etichetta ed essere minimamente credibili. Purtroppo non abbiamo grandi strumenti per difenderci da questa opacità: nonostante abbia fatto un’attenta ricerca nei siti di vari marchi che vendono materiale riciclato, nessuno indica la percentuale di riciclato presente.
L’underwear è circolare?
The Big Favourite, ideato dalla designe Eleonor Turner è una linea di intimo e T-shirt in cotone pensati per essere indossati, rispediti al marchio e riciclati in nuovi capi. In altre parole, sono pensati per essere circolari. Il processo di acquisto e restituzione è abbastanza semplice: una volta indossati, quando è il momento di gettarli, il cliente può scansionare un codice QR sull’etichetta dell’indumento per generare un’etichetta di spedizione gratuita. Dopo che The big favourite avrà ricevuto gli articoli, il cliente otterrà crediti per acquistarne di nuovi (oppure può scegliere di donare il denaro a un’iniziativa positiva per il clima).
Biancheria per tutte le taglie e tutte le forme: così il brand diventa inclusivo
Come si fa a vestire le donne di tutte le taglie? Il digitale è venuto in soccorso di alcune esperienze interessanti. ThirdLove è un’azienda fondata nel 2013 che ha raccolto ed elaborato 600 milioni di dati relativi a forma delle spalle, busto, seno, ecc. attraverso un form cui hanno risposto 11 milioni di potenziali clienti. Sul sito, rispondendo a un questionario abbastanza lungo che vi costringerà a porvi domande incredibili sul vostro seno, viene suggerito il reggiseno ideale grazie a una fitting room virtuale.
Dall’Italia, arriva Chité, permette di realizzare il proprio intimo su misura grazie alla possibilità di regolare spalline e busto e di applicare ricami personalizzati agli slip. Chitè è anche un caso di studio per la scelta fatta di posizionarsi come marchio medio, che si pone tra il fast fashion e il lusso delle boutique. Fornire risposta a una generazione di consumatrici interessate ad acquistare prodotti di qualità, ma senza spendere cifre folli, è stata una strategia vincente. Oltre tutto Chitè ha puntato tutto sui piccoli laboratori indipendenti, che producono le sue linee di intime. Oggi sono cinque i laboratori operativi tra Lombardia e Piemonte che collaboranocon il brand alla creazione delle capsule: Chitè, produce poco per volta, per evitare giacenze di magazzino e soprattutto garantire lavoro sempre, senza intermittenze.
La filiera italiana dell’intimo
Proprio in questi giorni c’è stato al Ministero dello Sviluppo Economico un incontro per parlare della crisi che sta colpendo il settore a causa del Covid. Secondo i dati presentati dalle associazioni di categoria, il mercato italiano dell’intimo ha un giro d’affari di 4,5 miliardi di euro, con oltre 16 milioni di clienti fidelizzati e un potenziale di crescita di 10 milioni di utenti. La pandemia ha però creato enormi difficoltà, come hanno confermato dai dati di Confcommercio e Federmoda. L’ancora di salvezza anche in questo caso è rappresentata dal digitale, che però è scarsamente presente in un mondo ancora molto analogico come quello dell’intimo. I numeri, infatti, parlano chiaro mettendo in risalto come su oltre 8.000 punti vendita attivi nel segmento dell’intimo, il 90% non risulta informatizzato, con conseguenze importanti per tutto il settore. La trasformazione digitale,digitale, non è più rimandabile.
Iluna, una eccellenza italiana nella produzione di materiali per l’underwear
Iluna è un’azienda italiana specializzata nella produzione di pizzo, naturalmente anche riciclato, calze e materiali per l’intimo. E’ un’azienda leader nel settore a livello europeo, che ha saputo investire e rinnovarsi nonostante la bufera che negli ultimi anni ha investito la fiera dell’intimo. Ho scoperto tante cose su materiali e lavorazioni parlando con Federica Tersch Annovazzi titolare dell’azienda. Ascoltate qui.