L’Higg Index sembrava destinato a diventare il nuovo strumento di misurazione dell’impatto ambientale e sociale per il settore moda, in un settore che è ancora alla ricerca di un linguaggio comune per rendere conto ai consumatori della sostenibilità dei prodotti in maniera semplice e immediata. Poi, qualche giorno fa, H&M ha attivato prima la sperimentazione Higg Index Sustainability Profile su alcuni capi presenti nel proprio e-commerce europeo e statunitense e, puntuale, è arrivata la polemica: i grandi brand non sono riconosciuti dai consumatori come paladini della sostenibilità. In effetti negli ultimi mesi sono sorti diversi dubbi tra gli addetti ai lavori sull’efficacia delle misurazioni fatte da questo strumento, che penalizza fortemente le materie prime naturali e premia quelle sintetiche. La SAC, Sustainable Apparel Coalition, che lo promuove, è corsa ai ripari preparando anche un documento sui “falsi miti” dell’Higg Index. Cerchiamo di capire come funziona questo strumento e quali sono gli aspetti critici da valutare.
Come funziona l’Higg Index
L’Higg Index è un tool di strumenti di misurazione per i settori tessile, dell’abbigliamento e delle calzature sviluppato da Sustainable Apparel Coalition, per misurare gli impatti sociali e ambientali. Ci sono diverse versione dell’Higg Index, studiato per chi produce materie o per chi lavora lungo la catena di produzione. E poi c’è anche quello per il retail, l’Higg Brand and Retail Module, che misura l’impatto ambientale e sociale dei prodotti di un marchio, dai materiali alle condizioni della forza lavoro e alla riciclabilità.
Quello che è attivo da più tempo e quindi è stato popolato con la maggiore quantità di dati è l’Higg Material Sustainability Index (MSI). “Higg MSI è una risorsa per designer, sviluppatori di prodotti e analisti per capire i costi, i benefici e i compromessi di diversi materiali che hanno lo stesso scopo funzionale (per esempio, confrontando una fibra riciclata con la sua versione convenzionale)”, si legge sul sito ufficiale. MSI esamina gli impatti ambientali tra cui l’uso dell’acqua, il potenziale di riscaldamento globale, i combustibili fossili e l’inquinamento dell’acqua. Niente è previsto sulla parte sociale in questo set di misurazione, promuovendo in questo modo anche un concetto di sostenibilità che prende in considerazione solo la scelta dei materiali e niente sulla catena di produzione dei capi, sul suo impatto ambientale e sul rispetto dei diritti dei lavoratori. Una sostenibilità che si basa solo sulla materia prima è un impegno ridicolo.
Cos’è l’Higg Index Sustainability Profile che sarà utilizzato negli e-commerce
Higg Index Sustainability Profile condivide informazioni e dati sull’impatto ambientale dei materiali di un prodotto rispetto alle alternative convenzionali. Ad ogni prodotto viene attribuito un punteggio da “base” a “3” in base all’impatto ambientale dei materiali nel prodotto. I prodotti che ottengono il livello 3 sono realizzati con materiali che hanno il più basso impatto ambientale rispetto ai materiali convenzionali. Per ogni prodotto, i clienti possono avere accesso anche a informazioni dettagliate sull’impatto relativi all’uso dell’acqua, al riscaldamento globale e all’utilizzo di combustibili fossili.
All’inizio del 2023, il programma sarà ampliato per incorporare i dati sociali relativi alle aziende, mirando a diventare il primo sistema olistico per comunicare le prestazioni di sostenibilità attraverso il ciclo di vita di un prodotto. O almeno questo è il programma.
La preferenza dell’Higg Index per i materiali sintetici
Come vi dicevo, per sperimentare il nuovo tool per la misurazione del Sustainable Profile, Sustainable Apparel Coalition ha deciso di iniziare dai grandi brand come H&M, C&A, Amazon e Zalando: marchi che si fa fatica a prendere come esempi di sostenibilità. Per questo la SAC si è trovata al centro di numerose polemiche, che ha deciso di mettere a tacere con un documento ufficiale dove fornisce la propria versione dei fatti.
Innanzitutto SAC non è un gruppo privato di consulenza con sede a San Francisco, come si legge in alcuni blog, ma un’organizzazione no profit multi stakeholder presente in tutto il mondo. Ha 250 soci e di questi il 45% sono brand e retailer; gli altri sono aziende manufatturiere, ONG, associazioni governative.
Le critiche più aspre riguardano sicuramente il giudizio sui materiali: ad esempio la SAC è accusata di preferire apertamente il poliestere. L’organizzazione si difende dicendo di non aver costruito un sistema nel quale viene preferita una fibra rispetto ad un’altra ma piuttosto di aver messo insieme una serie di strumenti che permettono di fare una valutazione oggettiva sull’impatto dei materiali. Resta però il fatto che le fibre naturali sono sempre penalizzate rispetto a quelle sintetiche nel rating dell’indice. Ad esempio, quando viene preso in considerazione l’impatto delle emissioni di CO2, i materiali naturali si trovano sempre a dover fare i conti con numeri altissimi. Ma non vengono presi in considerazioni altri fattori.
Il rilascio di microplastiche, che non viene preso in considerazione nella misurazione della sostenibilità dei materiali: la risposta ufficiale è che lo schema di riferimento della misurazione è quello della LCA (Life Cycle Assestment) non lo prevede e quindi non è stato inserito. Il punto però è che l’Higg Index non misura l’impatto dei materiali “dalla culla alla culla”, cioè dalla loro produzione al fine vita, prendendo quindi in considerazione anche le varie opzioni di riciclo e di riuso della fibra. La misurazione è “from cradle to gate“, cioè fino alla produzione del capo. Ecco quindi un altro dei motivi che penalizza le fibre naturali. Entro la fine del 2021 dovrebbe esserci una integrazione in questa direzione.
L‘industria della seta ha presentato un reclamo ufficiale che è in fase di revisione da parte della Federal Trade Commission (FTC) su come la seta sia erroneamente valutata dall’Higg MSI. Vediamo come proseguirà questa vicenda. Più l’Higg Index acquisisce visibilità e più diventa penalizzante il punteggio assegnato ai materiale di origine naturale.
Perché dobbiamo occuparci di quello che dice l’Higg Index?
L’influenza della misurazione effettuata dai vari tool di cui si compone l’Higg Index (li avevo spiegati bene in questo articolo) è destinata a crescere. La Sustainable Apparel Coalition è seduta ai principali tavoli dove si stanno definendo le nuove regole per il settore moda, sempre più impegnato a fare i conti con il tema della sostenibilità. Ad esempio la SAC fa parte del Segretariato Tecnico del gruppo di lavoro della Commissione europea che sta sviluppando le regole di categoria dell’impronta ambientale dei prodotti dell’UE per l’abbigliamento e le calzature.
Molte volte avere un indice che sintetizza le valutazioni è una scorciatoia per permettere al consumatore di orientarsi meglio, utilizzando uno strumento che potrebbe diventare di uso comune. A condizione, però, che la strada porti in una radura felice e non in una foresta insidiosa.