Si sta parlando tanto in questi giorni di COP26 e ne sentiremo parlare anche nelle prossime settimane, perché dal 1 al 12 novembre a Glasgow 190 capi di Stato si riuniranno per parlare del cambiamento climatico. La moda è sul banco degli imputati e lo scenario è destinato a cambiare. Ma qual è la posta in gioco? Ce lo spiega Federica Gasbarro, che porterà la voce dell’Italia a Youth4Climate (la COP26 dei giovani), e che è la protagonista dell’intervista di questo episodio.
Il tempo è scaduto, dobbiamo fare qualcosa per contrastare il cambiamento climatico. E’ arrivato il momento di passare all’azione. Si annunciano giorni intensi, soprattutto per il mondo della moda, che infatti sarà presente in massa a Glasgow. I grandi brand e le organizzazioni che operano nel settore non vogliono perdere l’occasione di essere proprio dove si decideranno le sorti del settore.
Nel 2015, durante la COP 21, è stato siglato l’Accordo di Parigi, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, che ha l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale 1,5 °C. Ma che impatto ha l’accordo di Parigi sulla moda?
La moda sul banco degli imputati
Ridurre le emissioni di CO2 e degli altri gas serra è una delle soluzioni più efficaci per constare l’aumento delle temperature. E infatti la moda ha iniziato a parlare di “decarbonizzazione”. Però, oltre alle dichiarazioni di principio, nessuno ha affrontato seriamente il problema. Non lo hanno fatto nemmeno i Governi, che hanno proposto una serie di soluzioni non solo insufficienti, ma anche scarsamente misurabili. Nel Rapporto Intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, il quadro relativo all’impatto del fashion che emerge è molto preoccupante.
Secondo la Banca Mondiale, l’industria della moda rappresenta il 10% delle emissioni globali di carbonio, che è più di tutti i voli internazionali e le spedizioni marittime messe insieme. Con la domanda globale di abbigliamento e calzature destinata ad aumentare del 63% nel prossimo decennio, le previsioni sono ancora peggiori. Lo sforzo fatto dai brand non è sufficiente: gli esperti nel rapporto affermano che le azioni dell’industria della moda mancano di urgenza e concentrazione.
L’impatto della catena di fornitura
Per poter mettere in atto una strategia che sia davvero efficace, un brand deve poter agire lungo tutta la filiera. Deve conoscerla, misurarne gli impatti, accompagnarla in un’azione di miglioramento. Secondo lo studio delle Nazioni Unite, oltre il 70% delle emissioni proviene da attività a monte, come la fase di produzione dei tessuti. Questo a causa della eccessiva dipendenza da tessuti sintetici derivati da combustibili fossili e da impianti di produzione e lavorazione affamati di energia.
Secondo una indagine di McKinsey, i miglioramenti nell’efficienza energetica e la transizione dai combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabile potrebbero fornire circa 1 miliardo di tonnellate di abbattimento delle emissioni nel 2030 in tutta la catena del valore della moda.
Il rapporto Intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite evidenzia che i marchi devono intensificare i propri rapporti con l’intera catena del valore se vogliono fare una differenza significativa.
La ricetta che sarà presentata a COP26
Quindi cosa possono fare i brand? In primo luogo, devono smettere di prendere decisioni influenzate solo dal marketing e adottare un approccio basato sulla scienza per identificare i priori obiettivi, oltre a dover misurare e monitorare regolarmente le emissioni.
Ci sono grosse opportunità per accelerare la decarbonizzazione in tutto il ciclo di vita di un capo: dalla riduzione delle emissioni nella fase di produzione di materiali utilizzando anche l’agricoltura rigenerativa; alla riduzione al minimo degli sprechi. Poi ci sono la decarbonizzazione della produzione di indumenti nelle operazioni a monte; l’utilizzo materiali sostenibili, imballaggi meno impattanti, sistemi di vendita al dettaglio decarbonizzati, ecosistemi di fine vita rigenerativi. Ma soprattutto è necessaria la riduzione della sovrapproduzione dalle attività dei marchi. L’azione collettiva e un serio impegno sono una necessità per raggiungere le emissioni nette della catena del valore entro il 2050.
E’ certo che COP 26 prenderà dei provvedimenti per il settore moda. Le azioni che ho appena elencato sono contenute in un documento preparatorio che stato predisposto dal team del settore moda di COP 26 High-Level Climate Champions. E’ stato presentato ad aprile, è stato condiviso con alcuni grandi brand e elenca azioni e obiettivi ai quali il mondo della moda dovrà adeguarsi. E, dato ormai per certo che il sistema non è in grado di regolarsi da solo e che da soli i brand non riescono a mettere in piedi azioni efficaci, ci dovranno pensare le legislazioni nazionali ad armonizzarsi e prevedere obblighi e sanzioni per accertarsi che questa volta gli obiettivi siano raggiunti. Ecco perché dobbiamo tenere gli occhi puntati su quello che verrà deciso a COP26.
Federica Gasbarro, la giovane rappresentante dell’Italia a Youth4Climate
Tra i temi che verranno discussi sicuramente a COP26 c’è anche quello della leadership femminile: poche donne in politica, poche donne ai vertici delle aziende. C’è una metà del mondo che non riesce a far sentire la propria voce e questo è un danno per tutti. Negli incontri preparatori emerge anche questo: che la crisi climatica è una crisi di leadership. Per questo ho voluto intervistare Federica Gasbarro, 26 anni anni, attivista per il Clima e autrice del libro “Diario di una Striker, io e Greta dalle piazze all’ONU”.
Ha partecipato al primo raduno all’Assemblea generale durante il vertice per il clima 2019 delle Nazione Unite, unica italiana, insieme a Greta Thunberg e ad altri 99 ragazzi. E sarà anche a Glasgow a rappresentare l’Italia insieme a Daniele Guadagnolo nella convention per i giovani Youth4Climate.
Una ventata d’aria fresca che conferma che per i giovani il cambiamento climatico è una cosa seria e avrebbero anche delle soluzioni da proporre: basta chiedere.
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