Comunicare il proprio impegno per diventare un brand responsabile, innovando il modo di raccontarsi al proprio pubblico: è quello che fa Ganni, il brand danese che non ha paura di dichiarare di non essere sostenibile. E’ un obiettivo impossibile, perché ogni produzione ha un impatto, ma ci si può impegnare per ridurlo e Ganni si sta muovendo in questa direzione. Uno stile ben definito, grande attenzione ai materiali, un approccio deciso a ogni tema relativo alla sostenibilità sono i punti di forza di un brand dall’anima nordeuropea, ma guidato da Andrea Baldo, CEO del brand con una lunga carriera nel made in Italy. E’ lui il protagonista dell’intervista di questo episodio.
Da brand locale a brand globale
La storia di Ganni inizia nel 2000. Nato come brand di cashmere, fondato dal gallerista scandinavo Frans Truelsen, nel 2009 viene acquisito dai coniugi Ditte e Nicolaj Reffsturp. Il brand con sede a Copenaghen si trasforma da piccolo marchio di cashmere a business globale. La ricetta del successo? Un mix ben elaborato tra la visione creativa di Ditte e la visione imprenditoriale di Nicolaj, oltre a un uso intelligente dei social. Proprio questi hanno permesso di creare intorno al band una vera e proprio community, che ha aiutato Ganni a superare i confini nazionali.
Poi c’è lo stile, anche nella comunicazione: colori accessi, grafiche pop, Ganni non utilizza fiumi azzurri e boschi verdi per comunicare la propria vocazione responsabile. Questo è un passo che adesso tutti i brand dovranno fare, come è stato anticipato dalle guideline sull’uso dei claim elaborate da LVMH (avete letto il post sul blog)? I marchi che fanno parte del gruppo non potranno più usare immagini collegate alla natura per la comunicazione, nemmeno suoni che cerchino di richiamare quell’immaginario nel consumatore.
Ganni lo fa da anni: e quando togli l’immagine che ti aiuta a far percepire che sei attento all’ambiente, tutta l’attenzione si sposta sul contenuto. All’interno del sito ci sono tantissime informazioni sulle produzioni e sui materiali utilizzati. Su Instagram questi contenuti sono veicolati sul profilo @gannilab, diverso dal profilo dove viene presentata la collezione.
La messa al bando dei materiali di origine animale
Parlando di materiali, nel dicembre del 2021 è stata annunciata la decisione di eliminare entro il 2023 la pelle dalle collezioni, optando per materiali alternativi e pelle riciclata. All’interno del sito si trova indicato che sono considerati materiali da evitare anche il cotone convenzionale, il poliestere vergine, lana e seta non certificate, le pelli sintetiche contenenti PU.
Trasparenza e decarbonizzazione
Alla trasparenza della filiera di produzione dei materiali è dedicata la piattaforma Provenance. Per diversi capi della collezione è possibile avere informazioni sulla provenienza della materia prima e sulle altre fasi di lavorazioni, con nomi delle aziende fornitrici e localizzazioni.
Questa tipologia di trasparenza è di utilità fondamentale anche per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e misurare la CO2 lungo la filiera. Se un brand si definisce a “impatto zero” e non fornisce informazioni sulla sua catena di produzione, è lecito diventare sospettosi. Devono essere misurate le emissioni dei fornitori, dei trasporti, dei vari step di materiali e prodotti. Probabilmente queste imprese misurano le emissioni di uffici e negozi di loro proprietà e poi fanno un’attività di offsetting della CO2, cioè aderiscono a un progetto che permette di compensare le emissioni. Ma non c’è nessuna azione di miglioramento in questo approccio.
Ganni sta lavorando sulla decarbonizzazione con un progetto che sta coinvolgendo anche i propri fornitori. L’obiettivo è misurare anche le loro emissioni e agire con iniziative di riduzione della CO2 insetting, cioè supportando i fornitori ad intervenire sui propri cicli di lavorazione per fare in modo che le emissioni vengano ridotte nel ciclo di produzione.
L’intervista a Andrea Baldo
Di solito non mi dedico a fare casi studio dei singoli brand, ma secondo me la strategia di comunicazione e di responsabilità di Ganni vanno conosciute. Io penso che sul tema della moda responsabile è difficile trovare fonti attendibili e che la curiosità e la voglia di capire cosa sta accadendo in giro è un ottimo modo per trovare la propria strada.
Mi è piaciuto parlare di tutto questo con Andrea Baldo, il CEO di Ganni, che ha alle spalle incarichi dirigenziali in Coccinelle, Marni, Maison Margiela, Diesel. Visto dal lontano nord il made in Italy appare ancora così attraente? È una delle cose di cui abbiamo parlato in questa lunga conversazione.
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