In Mongolia alla scoperta delle origini del cashmere
DI IAN WHITEFORD
E’ una delle fibre più pregiate al mondo, sinonimo di morbidezza ed eleganza, ma è anche una fibra che appartiene a una cultura millenaria, un mondo che sta scomparendo. O forse no. Sto parlando del cashmere, naturalmente. Ian Whiteford, scozzese, ha una lunga esperienza nel commercio delle fibre animali. Questa estate ha fatto un viaggio in Mongolia, anche per scoprire qual è la situazione oggi, dopo la pandemia. Non potevo fare a meno di ospitare nel blog il racconto del suo viaggio.
Viaggiare nel 2022
La mia quinta visita in Mongolia, quest’estate, mi ha mostrato che dopo il COVID il mondo è cambiato. Viaggiare è diventato molto più complicato – la difficolta di trovare un percorso adatto, voli cancellati, bagagli persi, le mascherine. Il mio viaggio ha incontrato qualche problema logistico, ma senza dubbio ne è valsa la pena!
La durezza fisica della vita del nomade
Non è possibile fare una visita in Mongolia senza fare i conti con la durezza fisica della vita nomade. Eppure questo stile di vita è alla base della filiera del cashmere. Per creare un capo dalla fibra prodotta da una capra sono necessari dieci procedimenti diversi e i primi sono tutti manuali. Bisogna usare le mani per provare la qualità, per maneggiare la fibra, per ordinarla, per caricare il macchinario.
Il clima mongolo è spesso difficile – inverni freddissimi e lunghi (la prima neve è già arrivata quest’anno), estati con sole cocente – ma la vita nomade si svolge all’aperto per la maggior parte del tempo.
Ci sono tanti problemi quotidiani da affrontare. Ad esempio non è semplice preparare il cibo. Una famiglia di nomadi dipende dai prodotti animali. Ricava il latte dalle mucche e dai cavalli, prepara il formaggio e il latte fermentato, fa un fuoco con il letame della mucca, cucina in una sola pentola, fa la vodka, ecc.
Sono andato a Khujirt – a 9 ore di macchina da Ulaanbaatar. Khujirt è un “centro di soum” (una cittadina del governo locale) di 3,800 persone, con un ufficio governativo, un centro culturale e una scuola con dormitori. Non è disponibile l’acqua corrente nelle case. Ma questo non è insolito: il paese è grande oltre l’immaginazione, le strade asfaltate sono poche e fuori da Ulaanbaatar, non ci sono molte infrastrutture.
La Mongolia e la Cina
Quando si parla di cashmere, non si può fare a meno di parlare anche della Cina. La Mongolia dipende assolutamente dalla Cina per la produzione della fibra: per i finanziamenti, per la conoscenza tecnica, per l’accesso al mercato. Non voglio dire che non ci sono fabbriche e aziende mongole capaci di creare prodotti di alta qualità: semplicemente però manca alla filiera mongola la capacità di acquistare, di trattare e di produrre tutto il cashmere disponibile all’interno del paese. Ma il governo mongolo ha un obiettivo, con l’aiuto dell’UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) vuole aumentare la capacità produttiva della filiera.
Questa forte dipendenza porta con sé anche un sentimento anticinese. Sono scozzese, capisco bene le relazioni tra un piccolo paese e un vicino più grande! Nel caso della Mongolia, ci sono più di settecento anni di inimicizia tra i paesi, dai giorni di Kublai Khan. Ho partecipato ad alcune riunioni con allevatori, produttori e altri professionisti con il desiderio di ridurre, o addirittura eliminare la dipendenza dalla Cina. Si tratta di un obiettivo a lungo termine, ma sembra più comune e più forte dopo la pandemia. Per il momento, non è ancora possibile andare in aereo dalla Cina alla Mongolia e viceversa.
L’impatto del COVID
Non è difficile trovare prove degli effetti del COVID. Il mercato del cashmere non ha né stabilità né certezza di offerta e prezzi. Rimane difficile per tecnici e commercianti viaggiare tra la Cina e la Mongolia e il trasporto di cachemire in Europa è possibile, ma non è facile.
Eppure le cose si stanno muovendo: nelle fabbriche che ho visitato, ho visto nuovi macchinari, un nuovo laboratorio certificato, tanta fibra e tanta attività. E dovunque si parlava della fibra certificata, l’argomento di somma importanza per il futuro.
La certificazione della fibra di cashmere
Quasi sette anni fa nasce la SFA (Sustainable Fibre Alliance), ONLUS britannica con radici mongole fortissime. Lo scopo era affrontare le sfide della sostenibilità e quelle commerciali della filiera di cashmere mongolo. All’inizio, si parlava soprattutto della desertificazione e della gestione di sostanze chimiche (a volte si usavano gli APEOs, un detersivo pericoloso ma efficace, per lavare il cashmere). La dimensione, l’influenza e il lavoro di SFA sono cresciuti velocemente. Adesso ha numerosi membri, contatti stretti con il governo, codici di comportamento per la produzione di cashmere e hanno iniziato a lavorare in Cina.
SFA ha sviluppato un sistema di certificazione per il caserme mongolo (e presto anche quello cinese). L’origine della fibra per il momento è un tema dominato dall’ incertezza e dalla controversia e anche, è giusto dirlo, e crea un po’ d’ansia per la filiera. Ci sono alcuni criteri da cui dipende la certificazione – la gestione delle praterie; il benessere degli animali; il buon lavoro e la schiavitù moderna; la gestione delle sostanze chimiche. Basta dire che tutti coloro che sono coinvolti nella filiera di cachemire ne parleranno molto nei prossimi anni.
La Cina e la Mongolia – paesi diversi, cashmere diverso?
Per un europeo, la campagna mongola sembra subito strana – dove sono le recinzioni e le siepi? Anche al bordo della città si aggirano animali (cavalli, mucche, capre) apparentemente in spazi non delimitati. È difficile capire bene, ma la vita di nomade è alla base della legge e della costituzione mongola. Questa è una differenza, forse la più importante, tra il cashmere cinese e quello mongolo: in Mongolia le capre sono libere mentre le capre cinesi vengono tutte allevate nelle fattorie. I mongoli dicono che tutto il loro cashmere è organico, senza essere certificato. Non è strettamente vero, si usano i farmaci, ma è sicuramente vero che le capre hanno una vita più libera.
Però, ci sono anche alcuni difficolta per il cashmere mongolo: ci sono dieci razze di capra è la maggiore parte del cashmere è marrone oppure grigio chiaro, più difficile da tingere e allora ha un valore meno alto nel mercato. In Cina non ci sono tante capre marroni, la fibra è più morbido e il prezzo più alto. È il resultato di una gestione diversa, più organizzata, sebbene i contadini, come i nomadi, trascorrano gli inverni di -30 gradi con venti fortissimi e tanta neve.
Però, alla fine, tutto è invisibile ai consumatori! Ho visto una gamma di capi in colori arancia e blu scuro. I primi sono fabbricati con cashmere cinese (fibre bianche), i secondi dal cashmere mongolo (fibre marroni). Ma per adesso, non c’è una etichetta per spiegare l’origine della fibra.
Ultime parole
La Mongolia è un paese esotico, che vi consiglio di visitare! Vorrei raccontarvi molte altre cose, ma non abbastanza di spazio. Sono aperto ai contatti e alle domande. Scrivetemi: ian.komera@gmail.com.