Scarti, che passione! In pochi anni tessuti, filati, pellami, avanzati o mai utilizzati, sono diventati l’oggetto del desiderio per tanti brand e designer ed è un mercato in continua crescita. Ma come si può essere certi della loro provenienza e soprattutto che si tratti davvero di scarti? Ne ho parlato con Savina Saporiti, CEO di Maeba International, un’azienda che da oltre 100 anni opera in questo settore e che è l’ospite di questo episodio del podcast.
Quando si parla di sovrapproduzione nel mondo della moda, gli avanzi di produzione giocano un ruolo importante. Accanto alla sovrapproduzione di abbigliamento c’è anche l’eccedenza di tessuto rimanente o deadstock negli stabilimenti di produzione, che alcuni marchi stanno acquistando e incorporando nei loro progetti nel tentativo di essere più rispettosi dell’ambiente.
Perché la moda produce così tanti scarti?
Nonostante le affermazioni contrarie, il tessuto viene spesso sovraprodotto di proposito perché le fabbriche sanno che verrà venduto. Questo perché si è aperto un mercato parallelo incentrato proprio sugli scarti, che valorizza questi materiali, ritenuti più responsabili perché “salvati” dalla distruzione. Questo ha reso necessario fare chiarezza in questo mercato: non è più sufficiente dire che si sta utilizzando un materiale di scarto, è anche importante fornire delle informazioni aggiuntive e stanno facendo capolino le prime certificazioni, che dovrebbero andare a garantire la tracciabilità del deadstock. Maeba International, protagonista dell’intervista di questo episodio, ha ad esempio creato Relivetex.
In generale si dovrebbe fare uno sforzo maggiore per ridurre i volumi di quello che viene prodotto e non utilizzato: con l’utilizzo delle nuove tecnologie in fase di taglio e progettazione, con studi più accurati sui trend e la clientela, con sensori e automazioni che permettano di controllare in tempo reale la qualità del tessuto e il colore, non dovrebbe essere un obiettivo così difficile.
Anche i brand del lusso si affacciano su questo mercato
Nona Source è la piattaforma di deadstock finanziata dal gruppo LVMH. La domanda di questi materiali è stata resa ancora più vivace dopo il Covid. Finora, i principali marchi LVMH tra cui Louis Vuitton, Dior, Celine e Fendi sono tra quelli che vendono i loro materiali in deadstock tramite Nona Source, con la piattaforma che mira a far partecipare tutte le case di moda dell’azienda entro la fine dell’anno. I brand vendono i loro scarti alla piattaforma, ma fanno anche acquisti.
La piattaforma di rivendita è aperta a tutti: ci sono designer che cercano materiali di qualità ma che non possono permetterseli perché sono molto costosi o le quantità che devono ordinare sono molto elevate. I tessuti possono essere reperiti facilmente online, con tempi di consegna rapidi.”
Sebbene Nona Source sia principalmente una piattaforma digitale, l’azienda ha lanciato showroom a Parigi e ora a Londra, presso The Mills Fabrica a King’s Cross, in modo che i designer possano vedere di persona i materiali in giacenza.
Negli Stati Uniti la start up pluripremiata Queen of Raw è stata la prima a rendere “ di tendenza” l’uso degli scarti e adesso la piattaforma sta facendo dei passi da gigante per garantire la provenienza degli stock che mette in vendita, anche con un calcolatore che permette di avere una valutazione sull’impatto ambientale risparmiato.
Ma i deadstock sono rifiuti tessili?
Ma cosa sono i dead stock? Sono da considerarsi rifiuti pre-consumo e quindi seguono le norme su questi materiali. Ma non è così per tutti: non sono considerati rifiuti tessili secondo le certificazioni GRS e RCS di Textile Exchange, che oggi rappresentano le principali certificazioni utilizzate dal settore moda per garantire che una fibra proviene da un processo di riciclo. Secondo altri sarebbero da considerare materiali “di riuso” che di fatto possono essere immessi sul mercato senza necessità di subire nessuna ulteriore trasformazione.
Insomma, anche se se ne parla da un po’, i dead stock sono ancora alla ricerca di trovare una loro collocazione nel sistema moda, che vada oltre quella di essere lo strumento che permette di fare una bella operazione di marketing.
L’intervista a Savina Saporiti di Maeba International
Maeba International opera sul mercato da cento anni e ha recentemente creato la certificazione Relivetex, che garantisce la tracciabilità degli stock che mette in vendita: stiamo parlando di un archivio di 4 milioni di metri di tessuto oltre a un grande quantitativo di accessori per l’abbigliamento. Per il 70% di questi materiali l’azienda è in grado di fornire dati tecnici e anche la tracciabilità, dando così sostanza a un mercato che rischia di diventare terreno di greenwashing. Ne ho parlato con la CEO Savina Saporiti nell’intervista del podcast.