Vengono chiamati “forever chemical”, sono dovunque e vengono usati in tanti settori, anche nella moda: sono i PFAS, un nemico che dobbiamo conoscere, perché ce ne dobbiamo liberare. E non sarà per niente semplice. Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, ha approfondito il tema nel suo libro “PFAS, gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua” appena uscito per Altraeconomia. Partendo dalla loro storia, ripercorre le tappe di un lungo percorso di silenzi e di inefficienza, che ha evitato per anni che vedessimo quel “diavolo in mezzo a noi”, come l’ha definito qualcuno.

Cosa sono i PFAS

I PFAS, sono sostanze perfluoro alchiliche, sostanze chimiche artificiali utilizzate in vari settori sin dagli anni ’40, a base di fluoro. Secondo la Environmental Protection Agency degli Stati Uniti, esistono oltre 12.000 tipi di PFAS, ma solo pochi di questi sono categorizzati e conosciuti. Rimangono nell’ambiente e nel corpo umano, dove possono accumularsi nel tempo e causare problemi legati alla riproduzione, allergie e cancro. Comuni nell’abbigliamento da esterno e sportivo, questi prodotti chimici rendono i prodotti resistenti all’acqua e alle macchie. Difficili da sostituire, sono di fatto ovunque, non solo nelle acque, ma anche dentro di noi.

I PFAS possono anche essere assorbiti attraverso la pelle e sono un problema per i lavoratori nelle fabbriche tessili, dove i ricercatori hanno riscontrato alti tassi di esposizione. Non solo: contaminano la falda e il terreno fino a contaminare anche gli alimenti. E’ quello che sta accadendo in Veneto: queste sostanze hanno contaminato la falda, il terreno e sono arrivate anche a contaminare gli alimenti: Greenpeace Italia ha studiato questo fenomeno e ha denunciato la situazione. Ma l’emergenza riguarda anche alcune zone del Piemonte e della Lombardia. Movimenti spontanei di cittadini hanno cercato di sensibilizzare le autorità, ma per adesso non sono ancora state prese decisioni concrete. Difficili da misurare, di individuare, da catturare, da eliminare: hanno tutte le caratteristiche di un problema sfuggito di mano, che sarà difficile da sconfiggere.

Come eliminarli?

Il problema non i PFAS è legato anche alla loro eliminazione: una volta contaminati, la bonifica dei terreni è molto costosa. Applicare il principio “chi inquina paga” si sta dimostrando impossibile in questa situazione. Ma il rischio di cause milionarie è reale e per questo è partita proprio dagli Stati Uniti una vera e propria campagna per l’eliminazione di queste sostanze. 

I brand stanno lavorando per cercare alternative più sicure: non c’è più tempo da perdere. I Governi sono alle prese con leggi approvate o in fase di approvazione per cercare di bloccare l’ulteriore introduzione di queste sostanza nel nostro ambiente. L’inquinamento da PFAS sta provocando danni alla salute di intere comunità, anche in Italia. 

I PFAS e la moda

Nel 2021, l’Environmental Protection Agency degli Stati Uniti si è impegnata a migliorare la ricerca sui PFAS per comprendere meglio i rischi per la salute associati ai vari livelli di esposizione. Lo stesso anno ha pubblicato una tabella di marcia per affrontare i PFAS, con obiettivi fissati per il 2024. Inoltre, dal 2022, almeno sei stati, inclusa la California, hanno implementato leggi che impongono alle aziende di segnalare il proprio utilizzo di PFAS. Alcuni stati, incluso il Maine, hanno adottato divieti completi sui PFAS.

A partire dal 1° gennaio 2025, la California vieterà la produzione, la vendita e la distribuzione di prodotti tessili contenenti livelli di PFAS superiori a 100 parti per milione (ppm), che ora è considerato il limite non sicuro. Il limite sarà ridotto a 50 ppm nel 2027.

Cosa sta facendo la UE

La Commissione Europea, su proposta di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, sta cercando di definire le restrizioni dell’uso di queste sostanze, che andranno messe al bando il più velocemente possibile. L’ECHA, l’Agenzia Chimica della Commissione, ha lanciato una consultazione pubblica per raccogliere pareri da consumatori, aziende, enti e i risultati sono impressionanti.

Fino ad oggi era stata la consultazione sulle microplastiche, con circa 500 commenti ricevuti, quella maggiormente partecipata. La consultazione sui PFAS, che si è chiusa a settembre, ha ricevuto 5642 commenti, un record assoluti, molti accompagnati da allegati contenenti studi e ricerche: in totale 100 mila pagine di materiali che aspettano di essere classificati e analizzati. E questo dovrà anche essere fatto in tempi brevi, perché mentre l’Europa è al lavoro per decidere dove posizionare il proprio limite, ci sono altri Paesi che stanno legiferando.

La massiccia partecipazione è collegata al fatto che sono tanti i settori coinvolti, non ci sono solo la moda o la cosmetica. La maggioranza dei settori chiede deroghe all’applicazione delle restrizioni, affermando che non sono disponibili sul mercato sostanze sostitutive.

Però c’è anche chi questa transizione è riuscito a farla e ci sono  brand che sono PFAS free. Ne ho parlato con Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace, in questa lunga intervista.

 

 

 

Cover Foto di Robert Anderson su Unsplash