E’ possibile progettare un sistema circolare che permetta di raccogliere, selezionare e riciclare gli abiti usati, che riesca a sostenere i costi di queste operazioni sia nei Paesi di raccolta che in quelli di eventuale destinazione? Secondo il report ‘Pushing the Boundaries of EPR policy for textiles’ di Ellen Mac Arthur Foundation, appena pubblicato, è possibile. In tutto il mondo circa l’80% dei prodotti tessili quando viene scartato finisce in discarica, incenerito o disperso nell’ambiente. Questo accade perché i rifiuti tessili non sono oggetto di raccolta differenziata e soprattutto perché non viene fatta una selezione che permetta di separare la parte dedicata al riuso da quella dedicata alle varie tipologie di riciclo.

Perché l’EPR risolverebbe il problema dei rifiuti tessili

La normativa EPR, sulla responsabilità estesa del produttore, dovrebbe creare un sistema che permetta di gestire i tessili usati nella maniera più efficiente, rafforzando economie collegate al riuso e al riciclo dei tessili, e quindi creando un meccanismo che dovrebbe autofinanziarsi, grazie alla previsione di un contributo da parte delle imprese per la creazione di infrastrutture e competenze, che deve essere commisurato al quantitativo di materiale immesso sul mercato.

Questo contributo è essenziale per coprire il costo netto associato alla gestione di tutti i prodotti tessili scartati e non solo di quelli con un elevato valore di mercato.

Ad oggi sono tre i Paesi che hanno approvato una normativa EPR e sono tutti in Europa: Francia, Paesi Bassi, Ungheria. Sono molti però i Paesi in cui la norma è in discussione: oltre alla normativa europea, in fase di studio, anche Australia, Ghana, Kenya, Colombia, California, New York, stanno cercando di elaborare il proprio sistema di responsabilità del produttore per i tessili.

Sempre secondo il report di Ellen MacArthur Foundation, le infrastrutture di raccolta dei tessili sono insufficienti, i tassi medi di raccolta differenziata vanno dal 14% al 50%. Inoltre, oltre l’80% degli indumenti riutilizzabili raccolti viene esportato dopo la cernita, creando un onere sproporzionato per la gestione dei rifiuti sui paesi importatori.

Secondo Valérie Boiten, Senior Policy Officer di Ellen Mac Arthur Foundation, “L’EPR può sostenere un’economia circolare oltre confine, contribuendo a finanziare la raccolta e la gestione dei prodotti tessili scartati nei paesi in cui finiscono”

L’importanza della selezione dei tessili usati

L’indagine di Ellen MacArthur Foundation mette in luce l’importanza strategica della selezione. Senza una attenta selezione, fatta manualmente, in grado di individuare quali sono gli abiti usati che possono essere immessi nel mercato del riuso, il sistema non può sostenersi economicamente.

Dal grafico qui sotto, che prende in considerazione tre Paesi diversi, si evidenzia chiaramente che solo gli abiti usati destinati al mercato del riuso riescono a generare un margine positivo per le aziende che si dedicano a questo tipo di attività. La parte non riusabile, che potrebbe essere dedicata al riciclo, genera solo perdita, perché ad oggi non esiste un mercato per questi materiali. Di fatto vengono impiegati come materiali di downcycling, che hanno un valore molto basso, e la loro gestione ha un costo che i pochi ricavi non riescono a coprire.

‘Pushing the Boundaries of EPR policy for textiles’ di Ellen Mac Arthur Foundation

E’ evidente la necessità di aumentare gli investimenti in infrastrutture, fondamentali per creare un sistema che riesca a cogliere tutte le opportunità offerte dalla circolarità. Ma perché il sistema funzioni davvero in maniera efficiente è necessario che ci sia una normativa obbligatoria, che stabilisca le regole del gioco e che si occupi di creare meccanismi di remunerazione della filiera. Proprio la creazione di un sistema EPR efficiente, potrebbe attrarre gli investimenti necessari per potenziare il riciclo tessile.

Come coprire i costi EPR per i tessili

Secondo Ellen MacArthur Foundation i sistemi EPR dovrebbero avere uno stesso funzionamento, indipendentemente dal Paese in cui vengono adottati. Di fatto le operazioni di raccolta, selezione, preparazione al riuso e al riciclo e riuso e riciclo dovrebbero essere coperti dalle fee che i produttori obbligati devono versare. Per le atre voci, come il trattamento dei tessili destinati a distruzione o i costi amministrativi, ogni Pease potrebbe decidere per proprio conto.

‘Pushing the Boundaries of EPR policy for textiles’ di Ellen Mac Arthur Foundation

Visto che quello della moda è un settore che si sviluppa a livello mondiale, avere una base comune è fondamentale per non creare troppo caos nel mercato. Anche perché di confusione ce n’è già molta: ad esempio la definizione di rifiuto tessile. In qualche Paese lo scarto tessile che viene raccolto è rifiuto, fino a quando, con la selezione, non viene separato e quindi il materiale può perdere la qualifica, in relazione al suo destino finale. In altri Paesi il materiale raccolto non è rifiuto tessile, e questo cambia tante cose.

Un sistema di sostegno per la gestione dei materiali esportati

Un altro punto importante è quello relativo all’export degli abiti usati, che ad oggi è una delle soluzioni principali scelte dai  Paesi che non riescono a gestire questi materiali: i Paesi occidentali non hanno filiere adeguate, come ci è stato raccontato tante volte. I sistemi EPR dovrebbero prevedere sistemi efficaci di trasparenza e tracciabilità per avere un quadro chiaro e qualificato di quello che viene esportato. Fatto questo, è possibile che i sistemi EPR possano estendere la propria giurisdizione anche oltre i confini nazionali, creando dei fondi appositi in cui devono essere versate delle risorse che andranno a sostenere la gestione dei rifiuti tessili nei loro Paesi di destinazione. Ad oggi, circa i due terzi dei materiali tessili esportati finisce in Paesi non OCSE, dove vengono alimentate delle economie. L’obiettivo è quello di capire innanzitutto cosa viene esportato, se abiti usati o rifiuti, e poi di aiutare a creare un sistema infrastrutturale in grado di aiutare le economie locali a crescere grazie all’economia circolare e non a subire l’invasione di materiali che non sono in grado di gestire. Un sistema globale, insomma, ma dove ogni parte coinvolta ottiene un riconoscimento equo. C’è molto da lavorare.

Potete leggere qui il report integrale