Quando si parla di economia circolare il ruolo delle organizzazioni benefiche che provvedono alla raccolta degli abiti usati che vengono donati è centrale: è quanto emerso al Goodwill Sustainability Summit, che si è svolto il 15 e il 16 agosto a Washington, DC. Promosso da Goodwill Industries International, l’evento ha rappresentato l’occasione per condividere i risultati di uno studio finanziato a Walmart Foundation, che ha dimostrato che circa il 60% del materiale raccolto come abito usato dalle organizzazioni coinvolte nel progetto pilota può essere riciclato con le tecnologie esistenti.
“Questa scoperta rafforza la posizione di Goodwill come attore chiave e fornitore di materie prime nell’ecosistema emergente del riciclo tessile”, ha osservato Steve Preston, il CEO di Goodwill. Un messaggio lanciato ai legislatori che stanno elaborando le normative EPR, sulla responsabilità estesa del produttore: non in tutti i Paesi le ONG vengono invitate alle consultazioni, anche se spesso queste associazioni vantano una esperienza molto lunga nella raccolta e selezione degli abiti usati, con l’ausilio di volontari o soggetti svantaggiati. Negli Stati Uniti queste organizzazione hanno un grande peso, mentre in Europa la situazione è più variegata. La bozza sulla normativa EPR prevede il coinvolgimento di queste organizzazioni a condizione che siano in grado di dimostrare il loro impatto sociale, ma è importante mettere in campo anche la loro esperienza.
Il nuovo progetto di Goodwill: seguire il viaggio dei tessili di seconda mano in USA
Il progetto pilota che è stato protagonista del Goodwill Sustainability Summit, è stato lanciato a metà del 2022 dall’organizzazione statunitense. Prevedeva la creazione di quattro hub tessili regionali in Canada, Michigan, Nord-est e Sud-est degli Stati Uniti, in rappresentanza di 25 organizzazioni locali di Goodwill. Ciascuna sede ha smistato e classificato i tessili post-vendita per identificare i materiali riutilizzabili che possono essere rivenduti e i tessili non riutilizzabili che vengono invece utilizzati per creare materie prime per soddisfare le specifiche del riciclatore. Parte della ricerca prevedeva l’analisi della composizione fibrosa dei prodotti tessili post-vendita, e così è stato provato che che circa il 60% del materiale era adatto alle tecnologie di riciclo esistenti.
Il lavoro di approfondimento proseguirà con un nuovo progetto da due milioni di dollari appena lanciato, anch’esso presentato al vertice e nuovamente sostenuto dalla Fondazione Walmart, che questa volta assume la forma di un’iniziativa multi-stakeholder che segue il viaggio globale dei tessili di seconda mano. Ampliando lo studio precedente, la nuova iniziativa spera di informare le strategie di riutilizzo e riciclaggio per contribuire a definire gli standard di settore per la tracciabilità e la gestione del ciclo di vita del prodotto.
La considerevole rete di Goodwill – un’organizzazione fondata 120 anni fa, che gestisce oltre 3.300 negozi negli Stati Uniti e in Canada e comprende 154 organizzazioni no-profit locali indipendenti negli Stati Uniti – è apparentemente il motore perfetto per un’impresa del genere, visto il volume di materiali gestiti ogni anno.
Ogni anno Goodwill raccoglie 4,6 miliardi di libbre di oggetti usati, non sono abiti. Si tratta del 6% circa dei tessuti, dei mobili e degli altri beni durevoli che gli americani buttano via ogni anno. L’impatto sociale di questa attività è notevole, come viene raccontato dal report di impatto dell’organizzazione: nel 2023 sono state coinvolte 138 mila persone con disabilità, che hanno avuto l’occasione di incrementare le proprie competenze.
Gli oggetti vengono selezionati e venduti nei negozi dell’organizzazione, quando è possibile il riuso. Sui materiali che non possono essere destinati al mercato dei riuso, c’è l’opzione del riciclo, con percorsi che devono ancora essere messi a punto per quello che riguarda i tessili. Una parte di questi materiali finiscono anche in Africa, Qui gli indumenti usati competono principalmente con abiti nuovi importati dalla Cina. E molti africani preferiscono gli indumenti di seconda mano perché spesso sono di qualità superiore.
Negli Stati Uniti per poter realizzare progetti di economia circolare, è necessario sviluppare a livello industriale diverse tipologie di attività: impianti di smistamento, infrastrutture di riciclaggio e nuove tecnologie per la gestione. Dovrà poi essere aperto il mercato della materia prima seconda, che anche in Europa stenta a decollare e questa è un’altra sfida importante.
Intanto la riduzione dei rifiuti tessili è un obiettivi condiviso da tutti i Paesi, e sono in corso di discussione leggi e regolamenti che vogliono ridurre l’impatto della sovrapproduzione. Le organizzazioni benefiche, che si occupano della raccolta degli abiti usati da decenni, hanno una esperienza di lavoro sul campo che può arricchire il dibattito. Nate quando un capo di abbigliamento era un bene prezioso, che poteva risultare utile a persone che avevano difficoltà economiche, hanno saputo trasformarsi nel tempo per rispondere alle esigenze di un mercato impazzito, dove la qualità degli indumenti è in continua diminuzione. In Europa non sono viste come stakeholder principali su questo tema, mentre negli USA sono sedute nei più importanti tavoli di confronto.
Il disegno di legge della California
Ad esempio, le filiali locali di Goodwill sono già state al tavolo per il disegno di legge della California che prevede il lancio di un progetto pilota statale sul riciclaggio dei tessuti. Il “Responsible Textile Recovery Act” del 2024 della California, o disegno di legge del Senato 707, è stato promosso dal senatore Josh Newman ed è il primo disegno di legge sul riciclaggio dei tessili del Paese. L’SB 707 richiederebbe ai produttori di determinati capi di abbigliamento e altri prodotti tessili di istituire un’organizzazione per la responsabilità dei produttori. L’attuale versione del disegno di legge prevede che CalRecycle approvi il adotti i regolamenti attuativi entro il 1 gennaio 2028.
La proposta di legge sul recupero responsabile dei tessili, approvata a luglio, sarà ora trasmessa al Comitato per gli stanziamenti dell’Assemblea per un’audizione prima di passare all’Assemblea plenaria.
A gennaio, Washington ha seguito l’esempio di New York e della California e ha introdotto un disegno di legge per affrontare gli impatti ambientali della moda, tra cui l’inquinamento e le emissioni di carbonio.
Il disegno di legge istituisce un programma “robusto” di responsabilità estesa del produttore (EPR) che richiederà ai produttori di implementare e finanziare un programma per facilitare il riutilizzo, la riparazione e il riciclaggio di indumenti e fibre tessili. I brand californiani, però, sono scettici sull’effettiva efficacia del provvedimento.
Il divieto di smaltimento rifiuti tessili in Massachusetts
Le organizzazioni benefiche che si occupano della raccolta degli abiti usati erano presenti anche alle consultazioni che hanno portato all’adozione del divieto di smaltimento dei rifiuti tessili del Massachusetts, che ha l’obiettivo di ridurre lo smaltimento dei rifiuti tessili in tutto lo Stato del 30% entro il 2030.
Infatti nel novembre 2022, il Massachusetts ha vietato lo smaltimento dei tessili (indumenti, calzature, biancheria da letto, tende, tessuti e articoli simili) e ha concesso sovvenzioni per il recupero dei tessili.
Praticamente la norma sostiene le donazioni in qualsiasi condizione a organizzazioni a scopo di lucro e no-profit. Sono donabili anche articoli con macchie, strappi, bottoni mancanti o cerniere rotte. Perché? I tessili sono un bene prezioso: gli articoli che non vengono venduti in un negozio dell’usato vengono imballati e venduti mercati esteri o possono essere riciclati a livello nazionale. Le uniche donazioni inaccettabili sono oggetti bagnati/ammuffiti o contaminati da fluidi corporei, olio o sostanze pericolose