Sono passati gli anni in cui le gambe nude erano un must anche in inverno: adesso i trend della moda hanno riportato i collant nei cassetti delle donne. Bellissimi da indossare, difficili da mantenere intatti, ma soprattutto indistruttibili a fine vita. A meno che…Ne parlo nell’intervista di questo episodio con Rosanna Pegoraro, direttore commerciale di Gizeta Calze, proprietaria del brand Sarah Borghi.
Ho cercato di scoprire cosa significa oggi “collant sostenibili”, perché si iniziano a vedere diversi claim sulle confezioni: il massimo che si può raggiungere è un collant fatto con materiali che alla fine della loro vita sono degradabili, che quindi possono distruggersi. Ma non esistono soluzioni circolari, perché non sono riciclabili. Qual è quindi il destino finale dei collant? Il cestino dell’indifferenziato e quindi la discarica.
Perché i collant non sono riciclabili
I collant non sono riciclabili per una serie di ragioni. Innanzitutto sarebbe necessario organizzare una raccolta ben fatta di questo tipo di materiale, che non deve essere contaminato da altri materiali. Quindi dovremmo avere una buona selezione in ingresso. Ma, tenuto conto del peso di ogni collant, quanti ne potrebbero essere necessari per crearne un quantitativo che può valere la pena di lavorare per il riciclo? Quante calze possono essere necessarie per fare 100 chili di materiale?
Oltre a questo, i collant si compongono del corpino in cotone (in gergo tecnico si chiama tassello) e della gamba in nylon e elastam: il corpino deve essere rimosso e può essere fatto solo a mano. Infine il materiale, essendo stato a diretto contatto con la pelle e con fluidi corporei, deve essere sanificato. Questi passaggi rendono insostenibile sia da un punto di vista ambientale che economico il riciclo dei collant. Il problema centrale è anche che il nylon e l’elastane sono difficili da dividere, destinati a restare uniti per la vita. Almeno fino ad ora, perché questo mondo è in continua evoluzione e la situazione potrebbe essere diversa nei prossimi mesi.
Però ci sono aziende che riciclano il pre consumo, cioè gli scarti di lavorazione delle calze. Fanno la selezione, classificano i materiali e li vendono a operatori che poi sono in grado industrialmente di trasformare questo materiale in un polimero che può di nuovo essere immesso sul mercato, attraverso un processo di riciclo chimico.
La migliore soluzione? la degradazione dei materiali
Tenuto conto che i collant non possono essere circolari, l’unica soluzione possibile è quella di scegliere dei materiali che possano degradarsi a fine vita. Rosanna Pegoraro nell’intervista di oggi ci parla della scelta di materiali fatta per i nuovi collant del marchio Sarah Borghi, di cui è proprietaria GiZeta: si tratta du due materiali di nuova generazione. Uno è Amni Soul Eco®, il primo filo di poliammide 6.6 degradabile in condizioni anaerobiche, che si degrada in circa 5 anni dopo lo smaltimento in discarica prodotto e distribuito da Fulgar.
L’altro è ROICATM V550 del produttore leader di fibre Asahi Kasei, un filo stretch che vanta il Gold Level Material Health Certificate del Cradle-to-Cradle Product Innovation Institute. Si decompone in modo intelligente senza rilasciare sostanze nocive nell’ambiente.
Lo svedese Swedish stocking è sempre tra i brand che vengono indicati quando si parla di calze sostenibili. I suoi prodotti sono lavorati a maglia in una fabbrica a rifiuti zero in Italia in 3D e progettati con una cintura più ampia per una vestibilità più comoda e ottimale.
Il marchio BOOB, anche questo svedese, utilizza poliammide riciclata. E’ un brand specializzato in prodotti di abbigliamento premaman e allattamento che mira a supportare le donne durante l’intero percorso di maternità. I suoi collant premaman sono realizzati con poliammide riciclata certificata Standard 100 by Oeko-Tex.
C’è anche chi sceglie materiali naturali nelle proprie collezioni: vi faccio due esempi italiani.
Il Maglificio di Verona realizza collant da bambina a marchio Semi di Zucca in bambù, fibra dalle molte proprietà come morbidezza, resistenza, vestibilità, proprietà antibatteriche e anti-funghigeno.
A Prato c’è il brand H Earth che ha una linea di linea di collant realizzata in seta vegetale da cellulosa rigenerata, anallergica, in fibra di eucalipto o in fibra di ricino con proprietà termoregolatrici e ad alta traspirabilità.
Il distretto della calza di Castel Goffredo
Ho voluto fare un veloce giro tra le esperienze che si stanno sviluppando in questo settore, ma vi sarete resi conto che, grosso modo, i materiali utilizzati sono sempre gli stessi, anche perché non ci sono molte alternative disponibili. Però questi brand, anche quelli del Nord Europa, hanno in comune il luogo di produzione: quando si parla si qualità la calza è made in Italy e viene dal distretto di Castel Goffredo, che si compone di circa 350 aziende e un giro d’affari stimato in 1,3 miliardi di euro nella stagione pre Covid tra calzetteria, intimo e abbigliamento tecnico.
Negli ultimi 15 anni ha subito un forte ridimensionamento, anche a causa della delocalizzazione di una parte della produzione in est Europa. La pandemia, con la drastica riduzione dei consumi ha avuto ripercussioni pesanti su un sistema che nei tempi d’oro produceva anche 2 miliardi di calze all’anno. Adesso c’è il problema delle materie prime che scarseggiano, ma ci sono anche le opportunità legate a una filiera che è ancora integra e pienamente operativa e che è in grado di produrre con alti standard di qualità e in tempi veloci, essendo tutto il ciclo di produzione concentrato in pochi chilometri. Per questo chi vuole produrre calze di qualità viene qui. Una bella storia di resilienza made in Italy.
L’intervista a Rosanna Pegoraro
Tornando al nostro uso dei collant, cosa si può fare per farli durare più a lungo? Quali sono le prospettive in questo mercato? Quanto è importante il tema dell’inclusività e di una proposta che prenda in considerazione un più ampio range di taglie per il settore dell’intimo? Queste sono alcune delle domande che ho rivolto a Rosanna Pegoraro, direttore commerciale di Gizeta Calze. Ascoltate l’intervista.