I rifiuti tessili possono essere essere trasformati in energia? Una delle notizie più condivise di questa torrida estate è stata quella della scoperta in Cambogia di una fabbrica dove vengono inceneriti i rifiuti tessili dei grandi brand per creare dei mattoni. Questo avviene senza nessuna misura di sicurezza per i lavoratori e senza nessun filtro per proteggere l’ambiente da emissioni dannose, con processi di incenerimento non controllati. Praticamente i tessili sono usati come carburante, mescolati al legname, sfruttandone il potere termico, per far fronte all’impennata dei costi energetici. Ma i rifiuti tessili possono essere usati per produrre energia? Certo, con macchinari e processi adeguati e in condizione di sicurezza.
La gerarchia dei rifiuti ci chiede di rispettare le 3R, “reduce, reuse, recycle”. Ma cosa si fa con quei materiali che non possono essere trattati in nessuno di questi modi? Si può cercare di ricavare energia, lo dice anche la Commissione Europea. E qui si apre un mondo.
Cosa sta accadendo in Cambogia
Innanzitutto cerchiamo di capire cosa è successo in Cambogia. Un’indagine di Unearthed ha rivelato che gli scarti di indumenti tessili vengono bruciati in delle fornaci di mattoni: sono stati trovati scarti tessili di Nike, Ralph Lauren, Diesel, Reebok, Clarks, Next, Micheal Kors. Si tratta di ritagli di confezione, avanzi della lavorazione, abiti che non sono mai stati consegnati. Molti di questi abiti sono fatti di poliestere e bruciando la plastica espone a fumi tossiche e rilascio di fibre di microplastiche i lavoratori, che non hanno nessun tipo di protezione (nell’articolo c’è un video che vi consiglio di guardare).
Per la fabbricazione dei mattoni gli operai trasferiscono a mano lastre di argilla essiccate nei forni, dove bruciano per un paio di giorni a temperature che raggiungono i 650°C. Per mantenere il calore, i forni devono rimanere accesi e gli operai bruciano combustibile, rappresentato da scarti di indumenti e legno, 24 ore su 24. Esiste una rete di intermediari che acquista i rifiuti di abbigliamento dalle fabbriche: un camion di scarti viene pagato circa 100 dollari, mentre un camion di legna costa tra 1000 e i 1500 dollari. La questione è tutta qui: soprattutto dopo il Covid, la Cambogia sta attraversando una crisi economica molto pesante e, con il rialzo dei costi, gli scarti tessili sono diventati un’interessante alternativa al legname. Possono essere mescolati proprio al legname per riuscire ad avere un potere termico interessante.
Il Ministero dell’Ambiente cambogiano ha vietato l’incenerimento degli abiti usati, ma a quanto pare i controlli non sono molto rigidi. I brand coinvolti nello scandalo hanno dato tutti lo stesso tipo di risposta: esistono dei Codici di Condotta firmati dai fornitori che vietano l’incenerimento degli scarti. Quindi verranno fatti accertamenti per individuare i fornitori che non hanno rispettato gli accordi presi. E naturalmente saranno proprio questi fornitori a fare le spese della situazione.
I rifiuti tessili sono tutti recuperabili?
Che ci piaccia o no, non tutti i rifiuti tessili sono gestibili applicando le famose 3R della circolarità. C’è una quota anche abbastanza consistente che deve essere gestita in altro modo. Parliamo di tutti quei materiali realizzati con fibre miste, sporchi, che sono ritagli non gestibili. Vi siete mai chiesti quanto del materiale che dovrebbe essere gestito con la raccolta differenziata dei tessili possa essere davvero recuperabile? Questo non riguarda naturalmente i capi invenduti: la Strategia Europea per il Tessile Sostenibile ha sancito chiaramente che a breve questi non potranno più essere inceneriti o andare in discarica. Produrre meno e con una logico di eco-design potrà essere la sola soluzione. Ma di tutti gli altri materiali tessili gettati via, cosa ne facciamo quando non possono essere riusati o riciclati?
Secondo il recente report sul riciclo tessile di Mc Kinsey (lo trovate qui), il riciclo tessile può rappresentare una grande opportunità per le aziende, ma c’è molta strada da fare. Facendo delle previsioni da qui al 2030, immaginando grossi investimenti e uno sforzo tecnologico importante, il 70% dei rifiuti tessili potrebbe essere riciclato da fibra a fibra. Il restante 30% richiederebbe il riciclaggio a circuito aperto o altre soluzioni come la produzione di syngas attraverso il riciclaggio termochimico. Tuttavia, oggi meno dell’1% dei rifiuti tessili viene riciclato da fibra a fibra a causa di diversi ostacoli alla scalabilità che devono essere superati.
Oggi una quota consistente di rifiuti tessili recuperabili non viene intercettata dalla raccolta differenziata: nel 2019 in Italia si stima che il 5,7% dei rifiuti indifferenziati era composto da rifiuti tessili. Una cifra considerevole, per materiali che di fatto sono così destinati all’inceneritore e alla discarica.
E se il tessuto di scarto potesse essere un’energia alternativa, paragonabile a gas e diesel?
Uno studio americano ha rivelato che la maggior parte dei rifiuti solidi nell’industria tessile è generata da cascami di filatura, cascami di tessitura e ritagli di tessuto. Pertanto, oltre ai metalli pesanti e ai coloranti, sono presenti quantità significative di materia organica, fosforo, azoto e micronutrienti. Questi rifiuti per lo più tossici necessitano di un trattamento e una gestione adeguati per controllare le conseguenze sull’ambiente e sulla salute pubblica. La statunitense Environmental Protection Agency (EPA) ha recentemente scoperto che senza gettare questi rifiuti tessili per lo più tossici nelle discariche l’impatto sull’ambiente sarebbe simile alla prevenzione delle emissioni di anidride carbonica di 7,3 milioni di automobili tolte dal strada. Per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, immaginare soluzioni che siano in grado di ricavare energia dai rifiuti tessili può essere molto interessante.
Una ricerca (eccola qui) ha studiato il potenziale energetico dei rifiuti di cotone dell’industria tessile come fonte rinnovabile di energia termica, rispetto ad altri combustibili alternativi come trucioli di legno e pellet di legno. Lo studio ha dimostrato che i bricchetti di cotone possono ridurre i costi energetici dell’80% rispetto all’olio combustibile, del 75% rispetto ai pellet di legno e del 70% rispetto al cippato. Pertanto, sembra che i rifiuti di cotone dell’industria tessile potrebbero diventare un’alternativa sostenibile economicamente e ambientalmente valida per produrre energia termica in futuro.
Come i rifiuti tessili possono trasformarsi in energia
Poiché i tessuti sono principalmente realizzati in cotone e poliestere, che sono fonti di carbonio ed energia, possono potenzialmente essere convertiti termochimicamente in combustibili e biocarbonio. Per le miscele di cotone e poliestere, la torrefazione presenta un basso impatto ambientale e un combustibile denso di energia che può essere utilizzato nei sistemi di cogenerazione, riducendo del 50-85% il fabbisogno energetico di questi processi. La pirolisi catalitica dei rifiuti tessili di cotone è un’altra soluzione: produce un’elevata conversione (90% in peso), un combustibile liquido ad alto rendimento (35–65% in peso) e biocarbonio (10–18% in peso), fornendo circuiti di chiusura del carbonio e dell’energia. Tuttavia, la pirolisi è ad alta intensità energetica (T > 500 °C) e produce sostanze chimiche pericolose dalla conversione di PET, nylon e poliacrilonitrile. C’è ancora molto da studiare e sperimentare prima di trovare la soluzione giusta o le soluzioni che possono essere più efficaci. E’ un tema molto tecnico, potete leggere questo articolo scientifico per avere maggiori informazioni.
Consumare meno, questo è l’impegno più importante
E’ giusto dare spazio a soluzioni innovative per stimolare la circolarità nella moda, va bene impegnarsi per rendere le 3R sempre più efficaci, è giusto impegnarsi per trasformare in energia materiale che altrimenti sarebbe solo destinato all’incenerimento. Ma non dimentichiamoci che consumare meno e meglio è il gesto più importante che possiamo fare: prevenire la creazione di grandi massi di rifiuti tessili è la soluzione più efficace per arginare il problema.
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