E’ con la normativa EPR e quella sul greenwashing che la Strategia Europea per il tessile sostenibile e circolare muoverà i primi passi per diventare operativa. Sono attese una trentina di normative in ambiti diversi nei prossimi anni per dare forma alla strategia studiata dalla Commissione Europea, ma saranno questi i primi atti a vedere la luce. Lo conferma Virginijus Sinkevičius, il Commissario Europeo all’ambiente, in occasione del lancio della campagna “Reset the Fashion” per sensibilizzare i consumatori a fare acquisti consapevoli. Quello che deve essere resettato, secondo la Commissione, è il nostro rapporto con lo shopping, che deve smettere di essere compulsivo e iniziare a essere ragionato. Il consumatore può cambiare il mercato, se ha gli strumenti giusti per fare le proprie valutazioni. “I brand saranno inevitabilmente costretti a produrre di meno, se i consumatori faranno scelte diverse”, commenta il Commissario nel corso dell’intervista.
La normativa EPR
La normativa EPR, quella sulla responsabilità del produttore per il fine vita di quello che immette sul mercato, è una delle più attese, ma anche delle più complicate. “Stiamo ancora decidendo quale modello di EPR decideremo di applicare a livello europeo, ma quello che è certo è che sarà uguale per tutti – afferma il Commissario – Sia il modello francese che quello olandese hanno dei pro e dei contro e li stiamo analizzando. Quello che sicuramente conterrà la normativa saranno degli indicatori chiari sulla percentuale di raccolta, per implementare il sistema. Cercheremo di gestire questa cosa con un po’ di flessibilità, perché non tutti i Paesi si stanno muovendo allo stesso modo su questo tema, ma l’obiettivo è quello di incrementare in maniera considerevole la raccolta differenziata dei tessili”. Bisognerà aspettare fine anno perché la normativa EPR sia presentata.
Durevolezza e riparabilità: gli obiettivi irrinunciabili
Innanzitutto i capi dovranno durare più a lungo e saranno costruiti degli indici di riparabilità per permettere la comparazione. Queste informazioni dovranno essere messe a disposizione dei consumatori, nel Digital Product Passport. Praticamente, grazie a un QR Code, si potranno acquisire una serie di informazioni sui capi per fare delle scelte consapevoli. Secondo il Commissario Virginijus Sinkevičius abbandonare la moda usa e getta non andrà a pesare sul portafoglio dei consumatori: “Valorizzare un capo per le caratteristiche che ha a livello di sostenibilità e di durata significa allontanarsi dalla logica del prezzo. Spesso vengono gettati via capi che non sono mai stati indossati: stiamo buttando via un prodotto che ha avuto un costo ambientale, non solo economico. Dobbiamo evitare che accada questo”.
Questo non significa che il fast fashion come modello di business verrà estromesso dal mercato “per legge”, ma si creeranno le condizioni perché questo accada in maniera naturale. “Chi vorrà continuare ad acquistare i capi più economici potrà farlo. – aggiunge il Commissario – Ma con l’informazione che, ad esempio, dopo un lavaggio quel prodotto potrebbe perdere colore, mentre l’acquisto di uno leggermente più costoso potrà sapere che può resistere a 25 o 30 lavaggi”. Anche il consumatore dovrà sentirsi responsabile di quello che acquista.
Basta distruzione degli invenduti e sovrapproduzione
Non fornisce numeri, probabilmente perché è impossibile da mappare, ma la sovrapproduzione e la distruzione dei capi invenduti resta un grande problema per Virginijus Sinkevičius. “E’ incredibile che ogni anno ci siano milioni di capi che vengono distrutti: quando ho parlato con i brand mi hanno detto che per loro era molto difficile monitorare questi numeri. E più il marchio è costoso, maggiore è il valore di quello che distruggono. Capisco che ogni stagione ha bisogno di vestiti diversi, ma quei vestiti non devono essere necessariamente nuovi, possiamo usare quelli della stagione precedente. Oppure possono essere riciclati: ma quando non vengono raccolti, quando le sostanze chimiche utilizzate impediscono che accada, e vengono spediti in altre parti del che hanno standard completamente diversi, non ci si sta prendendo la responsabilità di quello che si fai. E poi quel brand si rappresenta come “green” qui in Europa: questo meccanismo va affrontato”.
Digital Product Passport e certificazioni
Il sistema che verrà messo a disposizione del consumatore è chiaro. Ci sarà in Digital Product Passport, che conterrà informazioni sugli impatti ambientali e sociali dei capi, sulla riparabilità e la manutenzione: questo sarà obbligatorio, una volta lanciato. Non entrerà in vigore subito per tutti i capi di abbigliamento, ma saranno selezionate categorie di prodotti alle quali verrà via via esteso. Poi c’è invece l’Ecolabel, la certificazione volontaria europea, che fino ad oggi non ha avuto molta fortuna nel mondo della moda, ma che sarà rivista e lanciata sul mercato.
“Noi stiamo lavorando su Eco Label e sono certo che si tratta di un processo di certificazione serio – precisa il Commissario – Adesso ci sono molti schemi di certificazione o etichette di diverso tipo che non hanno sostanza. Ce ne occuperemo: introdurremo molto presto, già a marzo una proposta di attestazioni verdi in base alla quale classificheremo alcuni schemi di certificazione che sono realmente idonei e ovviamente saranno ancora volontari ma non sarà possibile utilizzarne altri. Quindi quelli che non hanno significato, saranno sostanzialmente vietati nell’UE. Ovviamente ciò potrebbe avere costi aggiuntivi, ma poi l’azienda avrà un’etichetta ecologica verificata”. Questa etichetta potrà anche essere usata a supporto della comunicazione, mi preme aggiungere. Proprio in questo contesto sarà emanata la normativa sui green claims, che dovrebbe di fatto ostacolare il greenwashing. La comunicazione informata dovrà prendere il posto di quella fatta di messaggi privi di supporto e di contenuto.
Il ruolo del design
“La sostenibilità non inizia dal tessile, ma dal design”, afferma il Commissario, annunciando che gli uffici della Commissione stanno lavorando sulle linee guida per l’eco-design. Le scelte che si fanno in fase di progettazione, di fatto incidono in maniera determinante su tutto il processo successivo. Anche su questo, le norme non saranno uguali per tutti, ma ci saranno delle indicazioni diverse a seconda della categoria di prodotti alla quale ci si riferisce. Quando la strategia parla di tessile, intende comprendere anche calzature, abbigliamento e settore casa, mondi diversi, difficili da regolare in maniera omogenea.
Un’opportunità per la catena di fornitura italiana
Quella che sta per arrivare è una vera e propria rivoluzione, che coinvolgerà pesantemente le aziende che operano nelle filiere produttivi. Ma le nuove norme non rappresenteranno un ostacolo per queste imprese, ma anzi una opportunità, secondo il Commissario. “Penso che in realtà le nuove regole possano garantire che ci sia più produzione qui in Europa, dove sappiamo per certo che quegli standard più elevati che vogliamo garantire sono mantenuti, piuttosto che produrre in altre parti del mondo”. D’altra parte la normativa sulla due diligence, anche questa in fase di approvazione, renderà obbligatorio fornire informazione sull’intera catena di produzione e questo renderà più difficile eludere certe norme e mettere sul mercato capi impattanti sia da un punto di vista ambientale che sociale.
La campagna Re Set the Trend
Ed eccoci alla campagna ” Re Set the Trend”, appena lanciata dalla Commissione europea, che ha come obiettivo principale i giovani consumatori di Italia, Spagna, Lituania, Romania, Grecia, Belgio. Sono questi i Paesi dove il fast fashion sembra maggiormente presente. La speranza è quella di mettere in moto un movimento virtuoso che abbia voglia di mettersi in gioco e cambiare le proprie abitudini: consumatori consapevoli che usano gli strumenti di trasparenza che verranno messi a loro disposizione per fare acquisti informati. E l’industria cosa farà? dovrà seguire il trend e sarà inevitabilmente costretta a produrre di meno.
Facciamo come gli elettrodomestici
Diamo al consumatore le classi A+++ fino a Z—— Risolviamo con etichette Smart la responsabilità di acquisto , i consumatori possono non avere tempo o capacità per eseguire una scelta
Un abbraccione verdissimo !
Stefania Terenghi
noi abbiamo un marchio sostenibile totalmente prodotto in toscana con materiali di recupero però non abbiamo acquirenti un pò perchè se non hai il grande marchio è difficile emergere e un pò perchè la produzione in italia ci obbliga ad avere dei prezzi più alti
ma la gente non capisce il valore della produzione e dei materiali si di recupero ma pelli di prima scelta