Si chiama Multiple Chemical Sensitivity o Toxicant Induce Loss of Tolerance e indica una malattia di cui soffre il 20% della popolazione che non può collegare allergie o disturbi a una sostanza chimica specifica, ma che però avverte malesseri di diverso genere dall’esposizione a agenti chimici diversi. Questa condizione si attiva quando il corpo reagisce all’esposizione chimica spegnendosi, causando annebbiamento del cervello, affaticamento estremo, problemi respiratori, orticaria, eruzioni cutanee e altro. E’ una delle cose che mi ha colpito di più nel libro “To Dye For: How Toxic Fashion is Making us Sick – and How We Can Fight Back,” di Alden Wicker, uscito poche settimane fa. Una vera e propria inchiesta che, grazie a testimonianze, ricerche, approfondimenti, mette in luce le connessioni che ci sono tra il mondo della chimica e la moda e quali sono le conseguenze con le quali dobbiamo fare i conti.

La ricercatrice americana, autrice della piattaforma Ecocult, spiega come spesso le sostanze chimiche che vengono utilizzate per la produzione dei nostri abiti sono regolamentate e vengono utilizzate nei limiti previsti. Ma essere sottoposti a così tanti agenti chimici diversi, può creare delle reazioni inaspettate nel nostro corpo. Non è quindi la singola sostanza ad essere dannosa, ma la continua esposizione, che crea anche vere e proprie malattie, come dimostra Wicker nel suo lavoro di ricerca, ricco di interviste e testimonianze.

Il caso dell’Alaskan Airlines

“To dye for” si apre con i dettagli del caso dell’Aslaskan Airlines e della Delta Airlines: i dipendenti hanno citato in giudizio il loro produttore di uniformi per gravi effetti negativi sulla salute. Wicker racconta che alcuni dipendenti delle due compagnie avevano delle reazioni allergiche così violente da diventare per loro impossibile andare al lavoro. Eppure hanno portato avanti la loro lotta per anni senza essere ascoltati.

“L’approccio generale è che, a differenza del cibo e dei prodotti per la cura personale, non dobbiamo preoccuparci che le sostanze chimiche sui vestiti entrino nel nostro corpo e ci causino danni – commenta l’autrice – Questi poveri impiegati si erano ammalati gravemente: caduta dei capelli, stanchezza debilitante, annebbiamento del cervello e brutte eruzioni cutanee. In molti casi le divise hanno rovinato loro la vita. Una persona è persino morta dopo un decennio di lotta contro gli effetti sulla salute che attribuiva alla sua uniforme. Con la mia indagine ho scoperto che questo problema sta colpendo anche le persone normali, non solo gli assistenti di volo”.

In una delle interviste del libro emerge la teoria che “la dose fa il veleno” e non ci sono abbastanza sostanze chimiche tossiche nei vestiti per farci ammalare. Non tutti sono influenzati allo stesso modo dalle sostanze chimiche tossiche, quindi è facile liquidare le persone, i bambini e i neonati che subiscono reazioni come “troppo sensibili”, che è ciò che hanno fatto le aziende.

USA/UE: due mondi diversi

Wicker mette anche a confronto la normativa USA e quella Europea: “la regolamentazione chimica negli Stati Uniti è debole, non ci sono regolamenti federali che impediscono a un’azienda di moda di trattare i propri prodotti con alcune delle sostanze chimiche più tossiche disponibili e di venderli direttamente a noi – aggiunge Wicker – La Commissione per la sicurezza dei prodotti di consumo americana è sottofinanziata e quasi mai richiama un prodotto, anche se i consumatori riferiscono che ha provocato loro brutte ustioni chimiche. Abbiamo un sacco di indumenti tossici che circolano nel Paese e, a meno che non si tratti di prodotti contraffatti o per bambini, la protezione doganale e di frontiera non ne verifica la tossicità. Stiamo iniziando ad avere più protezione grazie alle normative della California, ma non è sufficiente”.

Come in Europa ai sensi delle linee guida REACH, le aziende chimiche negli Stati Uniti dovrebbero essere tenute a registrare le informazioni su tutte le sostanze chimiche e i prodotti fabbricati e importati in quantità superiori a una tonnellata. E dovrebbero includere in questa registrazione tutti i rischi per la salute noti e le ricerche associate a ciascuna sostanza chimica e prodotto. Purtroppo non è così: spesso le aziende si appellano alla proprietà intellettuale delle sostanze, per non divulgare il contenuto di certe sostanze. E’ difficile analizzare una sostanza potenzialmente dannosa se non sai cosa stai cercando e nasconderne la composizione è un ottimo metodo per eludere controlli.

E’ sempre un problema di trasparenza

Questo non significa che ogni prodotto chimico sia nocivo, si legge nel libro. Forse è innocuo. Ma se non riusciamo ad abbinare un nome a una struttura chimica, significa che non lo possiamo valutare. Quindi non si può dire che non è sicuro, ma non si può nemmeno dire che lo sia.

Vi consiglio di leggere questo libro, pieno di spunti interessanti

Cover Foto di Nicolas Hoizey su Unsplash