“Avevamo il nostro impianto, il processo funzionava bene, la fibra era perfetta in termini di viscosità e qualità i produttori acquistavano la nostra fibra: le prestazioni di Circulose erano ottime, in linea con quelle previste dalla viscosa tradizionale“. Inizia così il racconto di Magnus Håkansson, acting CEO di Re:NewCell, che ho intervistato per farmi raccontare la notizia che ha scosso il mondo dell’industria della moda: la bancarotta di Re:NewCell, l’azienda che con la produzione di Circulose sembrava destinata a cambiare il mondo del riciclo tessile. Il processo messo a punto dall’azienda svedese permetteva infatti il riciclo fibre to fibre, con un processo di dissoluzione della pasta di cellulosa, pronta per essere riutilizzata in ambito fashion. Non stiamo parlando di un processo sperimentale, ma di un processo industriale pronto per il mercato, giusto in tempo per le modifiche legislative della normativa europea che vieterà lo smaltimento in discarica dei tessili entro il 2025.
“I principali produttori di viscosa come l’indiana Birla Cellulose e la cinese Tangshan Sanyou, dal 2022 hanno acquistato la nostra fibra e la stavano usando, con ottimi risultati qualitativi. Ma le cose non sono andate come speravamo: nel 2023 abbiamo capito che il sistema moda non era interessato ad acquistare i volumi che stavamo producendo e che ci aspettavamo di mettere sul mercato. Quando i produttori si sono accorti che non riuscivano a vendere la fibra ai brand, hanno smesso di comprare“, continua Magnus Håkansson. Avevano
Renewcell riceveva indumenti usati e scarti di produzione tessile ad alto contenuto di cellulosa, come il cotone o la viscosa. I tessili venivano raccolti nell’innovativo impianto svedese, triturati, puliti, decolorati e poi impastati. I contaminanti e gli altri contenuti non cellulosici venivano separati dalla polpa, essiccata per produrre Circulose®, una pasta realizzata con tessuti riciclati al 100%. I fogli di Circulose® venivano infine confezionati in balle per rientrare nella catena del valore della produzione tessile in sostituzione di materiali vergini come cotone, olio e legno. Un’idea innovativa, un impianto all’avanguardia, pronto per il mercato. Ma le cose non sono andare come previsto.
A inizio gennaio era stato annunciato il licenziamento di 30 dipendenti, il 25% della forza lavoro. Poi il board ha annunciato il ritardo nella presentazione della relazione di fine anno, relativa al 2023. Era evidente che stava accadendo qualcosa: il team di Re:NewCell stava lavorando per cercare di recuperare la situazione, facendo leva sugli unici soggetti che potevano cambiare le sorti dell’azienda: i brand. Il 21 febbraio Renewcell annunciava l’inserimento di 35 nuove aziende nella sua lista “Supplier Newtowrk”, dove vengono raccolti tutti gli utilizzatori di fibra, quindi sembrava che la situazione potesse avere un epilogo diverso. Sono stati sufficienti pochi giorni e tutto è crollato.
Il ruolo dei brand
“Con l’aiuto di Canopy e di Fashion for Good abbiamo incontrato i grandi brand per informarli della situazione: hanno acquistato piccoli volumi di fibra, ma non sono stati sufficienti. Noi abbiamo un break even point a 42 migliaia di tonnellate all’anno e per il primo anno solo 2 mila tonnellate sono state utilizzate dai brand. Quest’anno ci aspettavamo d raggiungere tra le 5 e le 10 mila tonnellate, ma comunque un risultato troppo lontano. Quando i potenziali investitori e i creditori hanno visto che il nostro progetto stava crescendo troppo lentamente, hanno deciso di non finanziare il progetto perché avrebbe portato a risultati in un tempo lungo“, aggiunge Håkansson
Renewcell era già stato utilizzato in oltre 250 modelli realizzati con CIRCULOSE® in collaborazione con marchi come INDITEX, H&M, Levi’s, GANNI e PVH. Difficile immaginare che tutto possa finire così. Ma è anche vero che quegli stessi brand non sono riusciti ad incrementare il proprio impegno, per permettere a un progetto concreto e scalabile di rappresentare una soluzione per un problema che tutti dichiarano prioritario: il riciclo degli abiti usati. Vince sempre la logica della capsule.
Il ruolo della finanza
Come una storia tipica del tempo in cui viviamo, anche la finanza ha avuto un suo ruolo: spesso si dimentica che fare ricerca, creare un prodotto innovativo, richiede tempi di sviluppo che possono non coincidere con le esigenze di ritorno degli investimenti. Anche la timidezza dei brand nei confronti del progetto ha la stessa radice: il mondo della finanza domina ormai anche il sistema moda.
Eppure l’innovazione tessile, l’accelerazione di nuovi processi produttivi dovranno sempre affrontare sfide, soprattutto in una catena di fornitura complessa come quella dell’industria della moda. A volte è necessario avere visioni a lungo termine piuttosto che focalizzarsi sui risultati finanziari a breve termine.
Il motivo della decisione di dichiarare fallimento è che Re:NewCell non è stata in grado di ottenere finanziamenti sufficienti per poter completare la revisione strategica. Sono state condotte trattative con i suoi due maggiori azionisti, H&M e Girindus, i suoi attuali finanziatori BNP Paribas, Banca Europea per gli Investimenti, Finnvera, Nordea, AB Svensk Exportkredit e potenziali nuovi investitori e altre parti interessate in merito a soluzioni di finanziamento a lungo termine. Sfortunatamente, non sono arrivate soluzioni in grado di garantire liquidità e il capitale necessari per garantire il proseguimento delle sue operazioni.
E adesso che succederà?
Innanzitutto abbiamo avuto la dimostrazione che manca una vera spinta verso la transizione circolare e che i brand non hanno la leadership necessaria ad essere i pionieri di questo cambiamento. Poi abbiamo anche capito che un mondo fatto di numeri e non di innovatori, che non hanno i mezzi per realizzare i propri progetti, non è in grado di mettere in campo progetti ambiziosi.
Probabilmente la storia di RE:NewCell non finirà così. “Adesso dovrà essere fatta la valutazione degli asset e del processo. Credo che i liquidatori cercheranno qualcuno che acquisirà l’azienda e porterà avanti il progetto“, conclude Magnus Håkansson. Qualcuno forse ci guadagnerà anche, ma che amarezza.