Cosa hanno in comune Karl Lagerfeld, l’eccentrico direttore creativo di Chanel, appassionato di abiti neri e occhiali da sole con Karl Marx, austero filosofo, padrino dell’anticapitalismo? Lo spiega Tansu E. Hoskins, autrice di “Il libro della moda anticapitasta“. Il nesso c’è perché di fatto l’industria della moda è stata modellata dal neoliberismo e dalla fiducia cieca nei mercati. Che aspetto ha un’industria deregolamentata, qual è il suo impatto sulle persone che vi lavorano e sulle risorse naturali del nostro pianeta? Dove vanno a finire i miliardi di dollari creati dall’industria?
Nel 1690, l’economista Nicholas Barbon elogiava la moda per la sua capacità di “vestire un uomo come se vivesse in una primavera perpetua – non vede mai l’autunno dei suoi vestiti”. Perché di fatto già allora gli abiti venivano sostituiti prima che fossero usurati: ad essere importante è il loro valore simbolico, non il valore d’uso. Sono passati i secoli, ma le cose non sono cambiate. Possiamo ricorrere al “paradosso della materialità” per spiegare meglio: consiste nel fatto che mentre consumiamo molti più beni nel tentativo di cercare un significato, togliamo loro sempre più valore.
“Senza le classi sociali non esisterebbe l’industria della moda per come la conosciamo. L’abbigliamento è un aspeto fondamentale: attraverso cui i ricchi segnalano e perpetuano il loro potere”, scrive la Hoskins, che poi prende anche in prestito il mondo del cinema per spiegarci meglio: avete presente Pretty Woman, Il Principe e il Povero, Alladin? “D’un tratto il protagonista si trova imbevuti di tutti i privileidei dominatori. Sono gli abiti a cambiare, non le persone”
Alta moda e “moda di catena”: due facce della stessa medaglia
Nel 2014 Tansy E. Hoskins scrisse il libro “Stitched up. The anticapitalist book of fashion”, Dopo 10 anni quel lavoro è stato aggiornato e revisionato (e riscritto per metà) per diventare il libro appena uscito per Il Saggiatore nella versione italiana. E’ scritto da un’osservatrice che parla di moda responsabile da molti anni e che ne ha analizzato diversi aspetti, anche se non è un’addetta ai lavori. E forse è proprio questo a rendere il suo punto di vista più interessante. Si allontana dalla dicotomia lusso/fast fashion, evitando anche di usare questo temine: alta moda/moda di catena (termine che preferisce usare) sono trattati nello stesso libro, perché non sono così diversi. La base ideologica è sempre la stessa ed è quella capitalistica.
Riscoprire l’ideologia
Il libro tratta moltissimi temi: gli impatti ambientali e sociali della moda, le connessioni con la finanza, il ruolo dei consumatori. Ma è il punto di vista ideologico a renderlo interessante, a volte anche provocatorio. Ed oggi la moda ha bisogno di questo: di una chiave di lettura che si basi sui valori e non sul valore e che permetta di leggere in maniera diversa risultati e progressi, per innescare un vero cambiamento.
L’ideologia del settore esiste per “mantenere lo status quo dei miliardari e della proprietà monopolizzata”. Ad esempio, implicita nell’industria della moda è l’idea che mentre le classi dirigenti di Parigi, Milano, Londra e New York “fanno moda”, tutti gli altri (ad esempio, Lagos, Mumbai, Rio de Janeiro) “fanno solo abbigliamento”. Ciò crea istantaneamente una gerarchia nazionale, razziale e di classe, che relega la stragrande maggioranza del mondo a uno status culturale subordinato – e che consente lo sfruttamento senza colpa di milioni di persone nel Sud del mondo.
Tansy E. Hoskins aveva scritto un libro molto interessante sulla produzione delle scarpe, “Foot work” di cui consiglio sempre la lettura.
Perché le sneakers sono insostenibili e quali brand stanno lavorando per ridurre il loro impatto
Qualche mese fa è uscita anche l’edizione italiana, tradotta in “Lavorare con i piedi“. Informarsi è sempre l’azione più efficace per diventare consumatori consapevoli. Questo lavoro di indagine e approfondito viene dalla penna di una donna che ama la moda, che la considerata una forma d’arte, che è affascinata dallo stile: ma che vorrebbe allo stesso tempo che la moda tornasse a riscoprire tutta la bellezza di cui può essere portatrice. Una sfida che coinvolge anche noi.