Di sovrapproduzione nella moda si parla moltissimo, forse perché è un tema che coinvolge tutti, che fa sentire sia consumatori che aziende coinvolti. Produrre troppo significa creare sprechi inutili, consumare risorse che potrebbero essere risparmiate e soprattutto significa dover anche fare i conti con il fine vita di tutto quello che non viene venduto.

Le statistiche dimostrano che  circa il 25-30% di quello che viene prodotto dai brand è destinato a non essere venduto sul marcato: questo ci fornisce una indicazione concreta sulle dimensioni del problema, che è causato da una serie di fattori. Innanzitutto la difficoltà di individuare i trend: si finisce così per produrre delle cose che rappresentano una proposta per il mercato che potrebbe non raggiungere l’effetto desiderato. Una migliore programmazione o l’utilizzo di tecnologie avanzate potrebbe aiutare in questo. Poi la necessità di produrre settimanalmente qualcosa di nuovo, che deve essere disponibile nei negozi, è un altro problema: i retail hanno decine, centinaia di negozi diversi, che devono essere raggiunti dalle nuove collezioni, in tutte le taglie e anche in tutti i colori. Proporre gli abiti solo in colori “sicuri”, come il nero e i neutri, potrebbe non rendere attraente la collezione in negozio. Così i brand producono i propri capi, consapevoli che una parte di questi non sarà venduta: .questa consapevolezza significa che il costo dell’invenduto è in parte coperto dal prezzo di vendita di un capo. E’ il modello di business del fast fashion che funziona così, ma anche i brand di fascia più alta hanno intensificato il lancio di capi sul mercato.

Che fine fanno gli invenduti? Fino a qualche anno fa venivano distrutti e bruciati senza troppi problemi. Ma la spinta verso la sostenibilità ha reso questo tipo di attività prima inopportuna e adesso anche  vietata.

Il divieto di distruzione degli invenduti

La normativa Ecodesign ha introdotto un divieto generale di distruzione di alcune categorie di prodotti di consumo invenduti. Il divieto si applica a partire dal 19 luglio 2026. Attualmente solo un numero limitato di categorie di prodotti di consumo invenduti rientrano nel divieto ESPR: abbigliamento e calzature rientrano in queste categorie .

La norme entrerà in vigore esattamente due anni dopo la pubblicazione (avvenuta a luglio 2024) e non è applicabile alle piccole imprese; quelle di medie dimensioni saranno interessate dopo sei anni. Gli operatori economici che distruggono beni invenduti – ad eccezione di capi di abbigliamento, accessori di abbigliamento e calzature per i quali vige il divieto di distruzione – saranno tenuti a comunicare annualmente le quantità di prodotti scartati e le relative motivazioni. In caso di violazioni spetterà agli Stati membri determinare le sanzioni (armonizzate tra i Ventisette).

Esistono numerose eccezioni ed esclusioni al divieto generale ESPR sulla distruzione dei prodotti di consumo invenduti. Entro i prossimi 12 mesi la Commissione adotterà un atto delegato riguardante le deroghe al divieto generale di distruzione dei prodotti di consumo per motivi sanitari e di altro tipo. Intanto il JRC, il centro di ricerca della Commissione Europea, ha fatto uno studio per lanciare alcune proposte sull’applicazione della normativa Ecodesign, contenute nel report Ecodesign for Sustainable Products Regulation: Study on new product priorities

La trasparenza sugli invenduti

Il divieto di distruzione degli invenduti è accompagnato da un obbligo di trasparenza che per le grandi imprese è gia operativo dall’esercizio finanziario 2025. In linea generale chi immette i prodotti sul mercato deve “adottare le misure che ci si può ragionevolmente attendere per evitare la necessità di distruggere i prodotti di consumo invenduti”. Quindi c’è un obbligo di prevenzione, che deve anche essere condiviso.

I brand dovranno pubblicare sul proprio sito web determinate informazioni sulla quantità di prodotti di consumo invenduti distrutti ogni anno. Queste informazioni saranno contenute in un report, come quelli richiesti per la gestione della Direttiva sul reporting di sostenibilità aziendale (“CSRD”) e dalla legge correlata. La Commissione è tenuta ad adottare misure di attuazione che stabiliscano i dettagli e il formato per la divulgazione delle informazioni entro luglio 2025. Entro il 19 luglio 2027, e successivamente ogni tre anni, la Commissione pubblicherà le informazioni consolidate sulla distruzione dei prodotti di consumo invenduti all’interno dell’Europa, per monitorare gli effetti della nuova politica.

In pratica nel momento in cui decide di liberarsi degli invenduti, il brand deve rendere noto in modo chiaro e visibili sul sito internet sia il numero di invenduti annui, che il motivo per il quale se ne libera. Deve anche indicare quelli che sono destinati al riuso e al riciclo. Che non si tratti di una dato facile da gestire è dimostrato dal fatto che ad oggi quasi nessun brand rende noto il dato sull’invenduto sul proprio sito, anche perché è un dato molto sensibile.

Cos’è un invenduto?

E’ molto importante capire cosa è un invenduto, perché questo definisce bene il raggio di azione della nuova norma. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, che ha realizzato un report molto interessante, questa è la definizione:

Unsold products can be either overstocks (products that are produced but have never been sold), obsolete products (products for which there is no longer any demand) or products that are damaged or recalled by their manufacturer because of quality issues. Overstock and obsolete products are the result of a mismatch between what is produced and demanded. This mismatch can be due to difficulty in forecasting, market dynamics and a conscious business strategy.

In termini pratici possiamo ritenere che sia invenduto quello che non è più vendibile sul mercato perché ha già superato tutte le fasi di “piazzamento” possibili: saldi, outlet, vendite private, per citare alcune tappe del viaggio di un capo che esce dal negozio senza essere venduto. Se sul capo è apposto il logo del brand, riconoscibile e non removibile, soprattutto per i brand del lusso, alcuni di questi step devono essere saltati, per evitare di immettere sul mercato capi a prezzi troppo diversificati.

Il riciclo, l’ultima tappa

Le attività di riciclaggio sono da considerare “distruzione”? Secondo le FAQ  pubblicate dalla Commissione sulla normativa Ecodesign, “la distruzione copre le ultime tre attività della gerarchia dei rifiuti, vale a dire il riciclaggio, altri tipi di recupero (compreso il recupero energetico) e lo smaltimento”.

In termini pratici lo scarto può essere considerato come “l’atto di smaltire un prodotto, ad esempio consegnandolo a un operatore del trattamento dei rifiuti, che come a conseguenza rende il prodotto di consumo invenduto uno spreco”. Gli obblighi previsti dall’ESPR relativi ai prodotti di consumo invenduti si applicano al brand che scarta un prodotto che diventa rifiuto e non all’operatore del trattamento dei rifiuti che riceve il prodotto scartato.

Recentemente è entrato in vigore il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ESPR), con l’obiettivo di rendere i prodotti sostenibili. Il Regolamento ha individuato una serie di prodotti prioritari per l’applicazione, tra i quali: tessile e calzature, mobili, cosmetici. Per queste categorie di prodotti saranno individuati alcuni requisiti che dovranno essere rispettati dai nuovi prodotti: durabilità, riciclabilità, contenuto riciclato. Come vi ho detto sopra, il JRC ha pubblicato l’analisi finale sulle priorità dei nuovi prodotti per l’ESPR, Ecodesign for Sustainable Products Regulation: Study on new product priorities”.

I risultati dello studio rappresentano la base scientifica del dialogo che dovrà essere portato avanti innanzitutto per la stesura della prima bozza di linee guida, che verrà condivisa a marzo 2025. Non sono decisioni finali: non vincolano la Commissione e non pregiudicano ciò che alla fine potrebbe essere considerato prioritario nel primo piano di lavoro ESPR.

Lo studio è molto ampio e dovrà essere letto con attenzione, ma ha attirato la mia attenzione la parte relativa ai prodotti tessili riciclati. Si legge nel report: “Nonostante la grande quantità di rifiuti generati, solo una minima parte viene riciclata in nuovi prodotti. Una misura sul contenuto minimo di riciclato per i tessili ha quindi il potenziale per un grande miglioramento ambientale. Tuttavia, è importante essere consapevoli che il contenuto riciclato quello dei prodotti tessili è un campo molto complicato e immaturo. Questo è particolarmente vero per prodotti realizzati con fibre miste (ad esempio cotone con poliestere ed elastan), poiché il riciclaggio èmolto complesso. L’uso di fibre riciclate può anche portare a compromessi con altri aspetti del prodotto, legati principalmente alla durabilità”. Questo fa pensare che ci sarà una applicazione graduale di questo requisito, tenendo conto della risposta tecnologica a questa sfida.

Questi i potenziali requisiti ecodesign che potrebbero essere contenuti nella norma finale. E’ previsto che per i prodotti prioritari la normativa entrerà in vigore nel 2027/2028.

JRC, "Ecodesign for Sustainable Products Regulation: Study on new product priorities"
JRC, “Ecodesign for Sustainable Products Regulation: Study on new product priorities”