La pelle può essere sostenibile? Non è una risposta facile da dare. Quando si parla di sostenibilità non c’è il bianco e il nero, ma ci sono tante sfumature di grigio. Tra pro e contro, quello che è certo è c’è ancora molta strada da fare per trovare alternative a questo materiale che ne garantiscano le stesse performance e lo stesso utilizzo. Qualche brand l’ha tolta dalle proprie collezioni, altri brand si stanno impegnando per rendere la sua produzione più sostenibile. Secondo una ricerca di Mordor Intelligence, il mercato della pelle registrerà un tasso di crescita annua del 6 per cento da qui al 2025. La pelle è controversa, ma a quanto pare continuerà ad essere ampiamente utilizzata. C’è chi sul tema della sostenibilità della pelle sta lavorando con grande impegno: avrete sicuramente letto dell’innovazione dell’azienda campana Be Green Tannery, che ha brevettato un processo di concia metal-free e che riduce notevolmente l’impatto ambientale della produzione. Felice De Piano, che guida l’azienda insieme alla sorella Annalisa, è il protagonista dell’intervista di questo episodio.
Da dove proviene la pelle che indossiamo
Oggi l’industria della pelletteria lavora pelli che sono un sottoprodotto della macellazione: se la pelle non venisse conciata dovrebbe essere eliminata in altri modi, probablmente più impattanti, dopo che la carne degli animali è stata utilizzata per la macellazione. Consumare carne a questo ritmo è diventato insostenibile: gli allevamenti di bestiame hanno un impatto potente sull’ambiente, in termini di consumo del suolo, di emissioni di CO2, di sofferenza degli animali. Il sistema della pelletteria utilizza il sottoprodotto di un’industria che sta producendo molto oltre il limite di quanto possiamo ritenere ammissibile ed è proprio il modello di consumo a non funzionare. In Brasile la criminalità diffusa e gli interessi che ci sono dietro gli allevamenti di bestiame, sono stati e sono la causa della massiccia deforestazione della foresta amazzonica.
Secondo il WWF Italia negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari, l’equivalente della superficie dell’Unione Europea. La campagna Together4Forest, lanciata da un gruppo di ONG, nasce per spingere l’Europa a prendere posizione su questo problema, adottando una legge che salvaguardia le foreste.
Una fotografia dell’industria italiana della concia
Il settore della pelle è uno degli assi portanti del sistema moda italiano. Sono 1180 le aziende che operano nel settore della concia in Italia, con 17.515 addetti. Sono dati che ho preso dal report di sostenibilità della UNIC, l’Unione Nazionale Italiana Conciatori, che ha fatto una mappa accurata dell’impatto ambientale della concia in Italia. Un report che mette in luce come le aziende abbiano fatto notevoli passi avanti negli ultimi anni da un punto di vista di sostenibilità della lavorazione, anche se la questione è molto delicata. In Italia si concia il 65% della produzione europea e il 23% del prodotto a livello mondiale. Numeri importanti, un settore che è uno dei pilastri del made in Italy.
Uso dell’acqua e impatto della chimica: due tasti dolenti
Il consumo di acqua e l’utilizzo di sostanze chimiche sono altri due aspetti importanti del processo di concia che vanno considerati, per il loro notevole impatto. La concia è il processo mediante il quale la pelle animale viene trattata chimicamente per alterare la consistenza della pelle e renderla più durevole. E’ fondamentale per fornire alla pelle il suo aspetto e la sua morbidezza. Il processo di concia convenzionale utilizza tra 1.500 e 2.000 litri di acqua per pelle, a seconda delle sue dimensioni. In Italia le aziende sono dottate di acquedotti industriali in grado di recuperare l’acqua e di evitare che l’acqua contaminata finisca nella falda: purtroppo non è così in tanti altri paesi C’è poi il tema della chimica: per il processo di concia vengono utilizzati sali di cromo, fenoli, tannini e altro, sono noti per la produzione di elevati volumi di inquinamento attraverso gli scarichi proprio delle acqua reflue.
La concia al vegetale
Oltre al sistema della concia tradizionale, c’è anche la concia al vegetale, garantita dal Consorzio toscano Vera Pelle Conciata al Vegetale. La pelle viene conciata con tannini naturali e una volta esaurito il suo ciclo di vita, il capo in pelle al vegetale può essere smaltito con facilità, proprio grazie alle sue caratteristiche chimico-biologiche. Il Consorzio garantisce che la maggior parte delle sostanze utilizzate durante la lavorazione delle pelli viene recuperata, lavorata e riutilizzata in altri settori.
Le certificazioni della pelle
Quali sono le certificazioni che garantiscono la pelle? Per la sicurezza chimica, il programma ZDHC, che definisce gli standard sulle sostanze pericolose, e certificazioni di terze parti come Bluesign o Oeko-Tex Leather Standard, che offrono linee guida per la chimica della pelle non tossica e approvano la pelle prodotti per la sicurezza.
C’è anche il Leather Working Group, attivo all’interno dell’organizzazione internazionale Textile Exchange, ha creato un sistema di audit per garantire tracciabilità delle pelli, il rispetto di determinati standard ambientali, la misurazione di alcuni impatti, e la corretta gestione della chimica. Attualmente certifica 626 aziende che producono il 23% della pelle a livello mondiale.
Esiste anche una certificazione per la pelle ecologica e viene rilasciata da UNIC: lo standard stabilisce requisiti minimi di processo e di prodotto per poter definire la vera pelle ecologica, ovvero una pelle prodotta con basso impatto ambientale. I prodotti conformi allo standard, previa certificazione delle pelli da parte di ICEC (Istituto di certificazione della qualità per l’industria conciaria), possono usare il logo “pelle ecologica”, rilasciato da UNIC.
Le alternative alla pelle
Esistono delle alternative all’uso della pelle? Si prevede che l’industria della pelle sintetica o vegana potrà avere un valore di oltre $ 40,9 miliardi entro il 2027. Quindi la richiesta è in forte crescita. Scusate, ho fatto un errore che non dobbiamo fare: una legge italiana del giugno 2020 ha stabilito che può chiamarsi pelle solo un prodotto di origine animale. La norma è stata richiesta dal settore della pelletteria per non confondere i consumatori, che possono essere tratti in inganno da termini poco corretti. La pelle ha origine animale e deve avere una composizione fibrosa integra: queste sono le due caratteristiche imprescindibili. Gli altri materiali sono un’altra cosa.
I materiali alternativi possono essere prodotti con tessuti plastificati, con materiali vegetali o materiali riciclati.
I tessuti a base plastica vengono definiti vegani, ma non sono necessariamente la scelta più sostenibile. I due tessuti plastificati più comuni utilizzati nella produzione di pelle vegana sono il poliuretano, o PU, e il cloruro di polivinile, o PVC. Non esiste un modo sicuro per riciclare o smaltire correttamente il PVC. Il poliuretano, d’altra parte, è ancora dannoso in termini di processo produttivo, ma può essere riciclato anche se una durata di conservazione inferiore rispetto alla vera pelle e ai materiali in PVC.
Per i materiali realizzati con base vegetale, ci sono numerose alternative allo studio: basti pensare a Pinatex, realizzato con foglie di ananas, o a Desserto, con le foglie di cactus.
Ci sono poi i materiali riciclati, realizzati con bottiglie di plastica, sughero e gomma sono solo alcuni esempi di materiali che possono essere riciclati e trasformati in materiali simili alla pelle. C’è anche chi ricicla gli scarti della lavorazione della pelle, che vengono spesso gettati via: RecycLeather stanno dando loro una nuova vita e, così facendo, impediscono che i rifiuti di pelle finiscano nelle discariche.
Tenete conto che perché un brand possa prendere in considerazione un’alternativa, questa deve garantire le stesse performance e soprattutto deve essere disponibile. Quando si parla di progetti in fase di start up non ci sono le quantità che sono necessarie per soddisfare le richieste del mercato.
L’innovazione di Be Green Tannery
Metal free e a ridotto impatto ambientale: la pelle prodotta dall’impresa avellinese Be Green Tannery richiede 12 ore di produzione in meno rispetto a quella al cromo. Inoltre, sono 180 i kW e 3000 i litri d’acqua risparmiati a parità di materiali lavorati.
La pelle è ottenuta grazie ad un processo brevettato, il primo al mondo ad aver ottenuto la certificazione di prodotto metal free dalla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli (SSIP). In totale, a parità di prodotto lavorato, l’innovativo processo messo a punto da Be Green Tannery permette di abbattere del 33% il tempo impiegato e l’energia consumata e del 30% l’acqua utilizzata.
Un processo rivoluzionario al quale possono contribuire anche i consumatori, prendendo parte alla campagna di finanziamento collettivo in corso su Mamacrowd con l’obiettivo di crescere e aumentare ancor di più il grado di sostenibilità in ogni fase del processo di produzione. Il titolare dell’azienda, Felice De Piano, mi ha spiegato meglio l’innovazione messa a punto da Be Green Tannery. Ascoltate il podcast.